I Savoia a caccia in Sardegna

Casa Savoia è la nuova serie televisiva che andrà in onda nel 2022. Otto puntate da 52 minuti ciascuna in cui si racconta una delle dinastie più longeve d’Europa. Il fulcro sarà Palazzo Madama, tra le vicissitudini della casata sabauda, con un focus particolare sulle gesta di Marie-Jeanne de Nemours, moglie di Carlo Emanuele II. Non mancheranno però le riprese nella suggestiva Reggia di Venaria, dove i reali trascorrevano mesi interi tra feste di corte e battute di caccia.

Una produzione italo-francese, che porta le firme di Commission Torino Piemonte, Lume Torino e Les Films d’Ici, casa di produzione transalpina. La serie, come affermato già dagli stessi produttori, si ispira alla fortunata “The Crown” targata Netflix, dove la regina Elisabetta II la fa da padrona. Una scelta ambiziosa, che si giustifica con una storia altrettano degna di nota.

Casa Savoia è infatti tra le più antiche dinastie del continente europeo, fondata nel X secolo d.C. nel territorio di Borgogna. Una casata importante anche per le sorti della Sardegna, che passò sotto il governo sabaudo nel 1720 con il trattato di Londra, quando Vittorio Amedeo II divenne re di Sardegna.

Quegli anni erano segnati dall’incertezza politica dell’Isola, senza controllo, in preda al banditismo e alla criminalità rurale. Il disordine e l’insicurezza nelle campagne, già presenti nei secoli precedenti, si facevano sempre più gravi. La popolazione sarda all’epoca versava in uno stato di miseria e i problemi erano così diffusi che il governo sabaudo pensò persino di cedere l’Isola in cambio di qualche altro territorio. Ma ciò non accadde e i Savoia esercitarono il controllo della Sardegna fino al 1861, anno dell’Unità d’Italia.

Tra le prime questioni da risolvere, quella del banditismo era ai primi posti di una lunga lista. I Savoia provarono a risolvere con l’uso di contingenti militari, impegnati soprattutto nelle campagne del Logudoro e della Gallura. Le repressioni colpirono anche i villaggi, in cui spesso avvenivano perquisizioni e arresti di massa. Ma tutto ciò non servi a fermare questo fenomeno, poiché era lo stesso popolo a tifare per loro. I banditi erano visti come i paladini in difesa della povera gente, tant’é che le loro gesta venivano cantate anche nelle poesie popolari. Non c’era alcun dubbio: per i sardi dell’epoca, il banditismo era l’unica forma di difesa contro il potere delle classi dominanti e dello Stato. Degli “oppressori”, per intendersi.

Con il nuovo re, Carlo Emanuele III, nominato nella seconda metà del diciottesimo secolo, l’atteggiamento politico della casata sabauda nell’Isola cambiò con un’azione riformatrice che ebbe un forte contributo dall’azione del conte Lorenzo Bogino, il quale ottenne nel 1759 la direzione politica di tutti gli affari riguardanti la Sardegna. Innanzitutto, vennero creati, attraverso la riforma dei Consigli comunitativi, organismi di villaggio che limitassero il potere e gli abusi del sistema feudale. In ambito scolastico, si riorganizzarono gli studi universitari e le scuole secondarie. L’anno successivo si introdusse l’obbligo dell’uso della lingua italiana in sostituzione di quella spagnola, sia nelle scuole sia negli atti ufficiali. Furono riaperte l’Università di Cagliari (1764) e di Sassari (1765), istituite nel Seicento e poi, dopo un primo periodo di sviluppo, vissero anni di decadenza.

Altro problema, ancora attuale, quello dello spopolamento. Si decise di creare nuovi centri abitati: nel 1738 venne fondato il villaggio di Carloforte (che prende il nome del re sabaudo) con il trasferimento di una parte degli abitanti liguri. Nel 1771 e 1808 furono fondate Calasetta e Santa Teresa di Gallura.

Ma tutte queste riforme non bastarono a modernizzare la vita economica e sociale dell’Isola, poiché il sistema feudale continuava a esistere, e quindi anche l’arretratezza. La gestione comunitaria della terra, ad esempio, limitavano fortemente la possibilità di innovazione tecnica e lo sviluppo agrario. Casa Savoia, da questo punto di vista, non volle mai modificare lo status quo, costringendo ancora una volta l’Isola a uno stato di subordinazione.

Il malcontento tra la popolazione sarda generò un moto di rivolta e nel 1789 numerosi villaggi si ribellarono, rifiutandosi di pagare i tributi feudali. Il vento rivoluzionario, che proseguì anche negli anni novanta, arrivava dalla Rivoluzione francese che proprio in quegli anni modificava per sempre gli assetti politici, sociali e culturali dell’Europa – in particolare di quella occidentale. Nel 1793, le isole di Carloforte e Sant’Antioco vennero occupate da un’armata francese che successivamente attaccò anche il porto di Cagliari. Ma gli artistocratici e gli ecclesiastici del capoluogo sardo convinsero, con una propaganda efficace, della pericolosità dei francesi e un gruppo di volontari cagliaritani presero le armi e respinsero lo sbarco dei militari francesi. Anche Carloforte e Sant’Antioco vennero liberate dopo qualche mese.

La resistenza all’attacco francese convinse i cagliaritani che il governo sabaudo avrebbe concesso loro maggiore autonomia, ma i Savoia risposero picche. Così nel 1784, i sardi insorseso e cacciarono i piemontesi da Cagliari, Alghero e Sassari. La rivolta si estese anche nelle campagne, dove il bersaglio principale furono i feudatari. In quest’occasione fu Giovanni Maria Angioy ad assumere il ruolo di leader contro l’imposizione della società feudale nell’Isola. Fu però sconfitto e dovette lasciare l’Isola per evitare l’arresto. Morì esule in Francia.

La repressione dei piemontesi fu sanguinosa, ma servì per ripristinare il potere baronale con annessi oneri fiscali. In questa situazione di crisi economica, i Savoia emanarono l’Editto sopra le chiudende, con cui si autorizzaza la chiusura dei terreni, di fatto la loro privatizzazione. L’obiettivo era quello di creare una classe di piccoli e medi proprietari terrieri che migliorassero il sistema produttivo isolano. A farne le spese, però, furono i piccoli contadini che non avevano i mezzi per costruire siepi o muri di divisione e subirono quindi gli abusi dei proprietari più grossi. a nuova riforma danneggiò anche i pastori, che si videro restringere sempre più gli spazi aperti destinati al pascolo.

L’abolizione del feudalesimo arrivò nel 1839, sotto il regno di Carlo Alberto. Fu una riforma a metà, in quanto il sovrano decise che ai nobili spettava una quota per la perdita delle rendite feudali, che doveva essere ripagata con un “riscatto”.

Otto anni dopo, nel 1847, il regno di Sardegna venne unificato al regno di Piemonte: così l’Isola, che da quel momento in poi dovette seguire la legislazione sabauda, rinunciò alla propria autonomia, accettando leggi, usi e costumi del tutto estranei alla propria cultura millenaria. Tra questi, l’istituzione dell’obbligo del servizio militare fu un grave problema per quelle famiglie che si videro private dell’aiuto dei figli maschi. Le riscossioni fiscali, poi, pesavano soprattutto sui piccoli proprietari terrieri, che finirono in miseria.

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