Le imprese dell’alimentazione della Sardegna rischiano una frenata produttiva causata dai rincari delle materie prime, dell’energia e dei carburanti per l’autotrasporto. L’allarme arriva da Confartigianato Imprese Sardegna, che dà voce a panificatori, pasticceri e gelatieri, alla luce dell’aumento dei prezzi di farine, zucchero e uova, delle bollette elettriche e del gas, della benzina e del gasolio.

Il tutto in vista di un periodo di vendite natalizie mai così atteso da parte soprattutto dei piccoli produttori. Un settore, quello della food economy della Sardegna che, in particolare sotto le festività di Natale, nell’Isola muove circa 378milioni di euro di consumi, secondo gli ultimi i dati dell’Ufficio Studi di Confartigianato Sardegna contenuti nel dossier “Food economy di MPI e artigianato alimentare del 2020”.

“Se il Governo non interviene a calmierare almeno i costi dell’energia e dei carburanti, il settore rischia una bastosta non indifferente – commenta Daniele Serra, segretario regionale di Confartigianato Imprese Sardegna – perché da un lato c’è il rischio di una frenata della ripresa post Covid, e dall’altro perché costringe i rivenditori a ritoccare i prezzi verso l’alto, col conseguente malcontento dei clienti”.

Un settore, quello dell’agroalimentare sardo, rappresentato in regione da 3.523 imprese artigiane che danno lavoro a ben 10mila addetti, con una importante offerta enogastronomica di 8 prodotti DOP, IGP e STG, ben 214 prodotti “tradizionali”, e una capacità export che sfiora i 100 milioni di euro all’anno.

“Su latte, burro, zucchero, farina, uova, nocciole, mandorle e tutto ciò che serve per fare pane, dolci e gelati, stiamo registrando incrementi che variano tra il 5 e il 20% che non si registravano dal 2011 – afferma Marco Rau, delegato regionale per l’alimentazione di Confartigianato Imprese Sardegna – tutto ciò sta innescando una pericolosa reazione a catena, perché le difficoltà di approvvigionamento e i maggiori costi affrontati dai produttori, poi ricadono anche su chi deve vendere al pubblico determinati generi alimentari e, di conseguenza, sul prodotto finito e sui consumatori. All’orizzonte, purtroppo, si profila un “caro panettone”.

“Per tutto il periodo delle varie chiusure, nei limiti del possibile, abbiamo provato a lavorare praticamente rimettendoci – spiega Rau – adesso che finalmente si vedeva la luce, ripartendo a pieno regime, ci troviamo a dovere affrontare questa situazione molto dura. I clienti sanno bene che da almeno 5-6 anni i nostri prezzi sono invariati e che ci siamo autotassati e abbiamo fatto sacrifici in questo periodo di pandemia per offrire i nostri prodotti con margini di guadagno risicatissimi. Non si può andare avanti con questa situazione di continua penalizzazione del settore”.

Per questo la categoria vuole fare un’operazione verità per fare capire alla clientela che sono le stesse imprese a essere danneggiate da questa situazione di rincari che sta portando queste attività ad avere l’acqua alla gola.

“Il problema è che mentre gli aumenti imposti dai nostri fornitori dobbiamo subirli in silenzio – rimarca il delegato regionale per l’alimentazione – per noi è molto più difficile farli digerire ai consumatori, avendo il contatto diretto col pubblico”.

“Questa situazione è determinata dal fatto che l’Italia è particolarmente esposta all’aumento dei prezzi delle materie prime, essendo la seconda economia dell’UE per produzione manifatturiera – riprende Serra – con una alta dipendenza dall’estero di commodities. Inoltre, ai segnali di prezzo si associano quelli di una rarefazione delle materie prime”. “Una così elevata pressione sui costi, che viene traslata solo in parte sui prezzi di vendita – continua il Segretario – determina una riduzione del valore aggiunto, comprime la crescita economica, riduce la propensione ad investire delle imprese, compromettendo sia i processi di innovazione che la domanda di lavoro”.

Poi, per quelle aziende che hanno investito sull’innovazione tecnologica grazie alla legge 4.0, e quindi ordinato nuovi macchinari più efficienti e produttivi, vi è una ulteriore beffa: per mancanza di materie prime, come l’acciaio, e di microchip, le attrezzature non riescono a essere prodotte e quindi non possono essere consegnate a pasticceri, panettieri e gelatieri che ne avevano fatto richiesta. “Ciò comporta un ulteriore danno – conclude Rau – perché le imprese avevano già messo in conto di aumentare la propria produzione proprio grazie a quell’innovazione e ora, invece, sono obbligate a soddisfare gli ordini con macchinari che sono inadatte a produzioni importanti”.

Confartigianato Sardegna ricorda anche che a seguito anche della mancanza di materie prime, le imprese stanno rallentando la produzione e, in alcuni casi, tornano ad utilizzare gli ammortizzatori sociali nonostante la ripresa degli ordinativi.

L’Organizzazione Artigiana, infine, ricorda che se la spinta dei prezzi non fosse dovuta a fattori solo temporanei – come viene sottolineato dalle autorità monetarie – si determinerà un rafforzamento della crescita dei prezzi alla produzione e del tasso di inflazione dei prezzi al consumo, con effetti recessivi conseguenti alla riduzione della domanda di consumi. Un aumento persistente del tasso di inflazione potrebbe innescare un cambio di direzione della politica monetaria delle banche centrali, con rialzi dei tassi di interesse che rallenterebbero gli investimenti, ribaltandosi pericolosamente sulle imprese, ancora soggette a tensioni di liquidità, e sui bilanci dei paesi con elevato debito pubblico, come l’Italia, in cui un aumento della spesa pubblica per interessi verrebbe finanziato con incrementi di imposte, generando ulteriori effetti recessivi. In tale contesto, per allentare la pressione sui prezzi degli input produttivi, diventano prioritari gli interventi per ridurre il costo del lavoro delle micro e piccole imprese.

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