Lo Stato di diritto è quella forma di Stato che assicura la salvaguardia e il rispetto dei diritti e delle libertà dell’uomo, insieme alla garanzia dello Stato sociale. Quest’ultimo che in inglese si traduce con “welfare state” (letteralmente “stato del benessere”, ndr) è l’insieme delle politiche sociali che proteggono i cittadini da rischi e li assistono nei bisogni legati alle condizioni di vita e sociali, sulla base dei principi di pari opportunità, equa distribuzione della ricchezza e responsabilità pubblica per i cittadini più fragili.

Le prime politiche dello stato sociale, come le pensioni pubbliche e le assicurazioni sociali, si svilupparono a partire dal 1880 nei paesi occidentali in via di industrializzazione. Alla fine degli anni Settanta i sistemi di welfare sono entrati in crisi in molti Paesi per effetto di politiche neoliberiste, crisi economiche, trasformazioni sociali ed economiche, cambiamenti demografici e problemi di sostenibilità finanziaria.

Oggi più che mai lo Stato sociale è a rischio. L’ordoliberalismo è una variante del pensiero liberale sociale nata e sviluppata dalla scuola economica di Friburgo: esso si basa sul presupposto che il libero mercato ed il laissez faire da soli non siano in grado di garantire né il mantenimento della concorrenza né l’equità sociale e le pari opportunità per gli individui. Lo Stato pertanto deve fornire un quadro giuridico, un ordine di regole attraverso cui l’economia di mercato possa funzionare: tutelando la proprietà privata e la libera iniziativa privata, stabilizzando la moneta, e assicurando un livello minimo e universale di protezione sociale.

La teoria ordoliberale afferma che lo Stato deve creare e mantenere un ambiente economico favorevole per l’economia, mantenendo un sano livello di competizione tra le imprese private, e privatizzando i servizi pubblici, in modo da garantire il principio dell’uguaglianza di fronte alla legge, senza pretendere di perseguire l’uguaglianza sostanziale.

La finalità dell’intervento pubblico non deve essere quella di dirigere i processi socio-economici ma solo di evitare il pericolo che, senza alcuna regolamentazione, possano emergere e formarsi monopoli o oligopoli, i quali non solo potrebbero sovvertire i vantaggi offerti dal libero mercato ma anche minare alla base le istituzioni. Tema fondamentale della teoria ordoliberale è la attribuzione di specifiche responsabilità ad istituzioni indipendenti: la politica monetaria dovrebbe essere affidata ad una banca centrale indipendente dal potere politico e avente lo scopo di garantire la stabilità della moneta ed un tasso di inflazione minimo mentre il governo ha la funzione di gestire la politica fiscale secondo il principio del pareggio di bilancio.

La dottrina che oggi imperversa – sottilmente, sottotraccia – è l’ordoliberismo. L’ordoliberalismo è una terza via tra il liberalismo classico e le teorie dirigiste o collettiviste in cui lo Stato assume direttamente il controllo dei processi economici. Gli ordoliberali sostengono la creazione di un sistema minimo di aiuti sociali universali, una moderata ridistribuzione della ricchezza mediante un sistema fiscale progressivo e il salario minimo legale, affinché tutti abbiano la possibilità di partecipare al “gioco” del mercato sviluppando capacità imprenditoriali. Il modello sociale ordoliberale è favorevole alla concessione di un livello minimo universale di benefit sociali pubblici, ma anche della deregolamentazione del mercato.

Oggi siamo a un bivio.

La Sardegna sta già facendo enormi passi indietro. Un’Isola dove i giovani vanno via (40mila gli emigrati dal 1995 a oggi), i bambini non nascono ( 0,95 figli di per donna. sette neonati per tredici decessi ogni mille abitanti) e aumentano gli anziani (394mila i residenti con più di 64 anni, 58mila gli over ottoantenni), è una terra in fisiologico declino.

Lo smantellamento dello Stato sociale è evidente. La continuità territoriale è un’utopia; i trasporti pubblici da e per l’interno una chimera; gli ospedali un pianto (provare a fare la fila al pronto soccorso per credere il caso emblematico la chiusura della Chirurgia a Nuoro; la scuola inadeguata (la Sardegna è la regione d’Italia più colpita dal fenomeno dell’abbandono scolastico. Da noi nfatti il 23% dei giovani abbandona prematuramente gli studi, un dato decisamente più alto della media nazionale del 14,5%), la sicurezza un optional (vedi la ventilata chiusura del IX battaglione dei Carabinieri di Cagliari). Il problema della carenza di nascite e dell’invecchiamento della popolazione è noto da tempo, ma quello lanciato dall’Istat recentemente è un allarme che deve far riflettere sul futuro equilibrio dell’Isola dal punto di vista demografico, sociale ed economico. Pochi nati, molti anziani, molti disoccupati non formati. L’Isola langue. Lo Stato batte in ritirata. Quale futuro per la Sardegna?

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