È sabato pomeriggio, sono passate da poco le quattro, e in Via dei Giudicati, di fronte al T-Hotel di Cagliari, si è riunita una folla di qualche centinaio di persone per manifestare in difesa dei diritti Lgbtq+. Ci sono tantissimi giovani, tante donne, tante bandiere arcobaleno, tanti interventi che chiedono a gran voce che vengano rispettati i diritti civili fondamentali, in primis quello d’espressione, che rappresenta la più alta manifestazione di libertà. Sono tutti in attesa di ascoltare, stringere la mano o scattare un selfie con Alessandro Zan, il deputato PD e firmatario del disegno di legge che porta il suo nome: il Ddl Zan. Affossato tre giorni fa in Senato, con 154 sì, 131 no e 2 astenuti, non ha raggiunto il traguardo dopo che Lega e Fratelli d’Italia si sono appellati alla “tagliola”, che di fatto blocca l’esame del testo e degli emendamenti del disegno di legge contro i crimini d’odio, e in particolare l’omolesbobitransfobia, la misoginia e l’abilisimo. Tutto da rifare, ora bisognerà attendere i prossimi sei mesi per fare una nuova proposta di legge.

Il Ddl Zan ha trovato molti supporter tra le generazioni più giovani, che masticano già il tema dell’identità di genere e hanno imparato ad assimilarlo ed accettarlo. Non tutti, però. Basterebbe leggere la cronaca per constatare che sono ancora tanti, troppi, i casi di violenza di genere nei confronti di donne, omosessuali e diversamente abili, per citarne soltanto alcuni. Sono state tante le dirette online dove il deputato dem si è confrontato con tanti di loro, talvolta ricorrendo anche a noti influencer e personaggi dello spettacolo, come Fedez, che l’ha ospitato sul suo profilo Instagram per far conoscere ai suoi follower questa proposta di legge e avvicinare quante più persone possibile. Per questo, il senatore e leader di Italia Viva Matteo Renzi – accusato di essere il responsabile numero uno della bocciatura del disegno di legge – l’ha duramente attaccato rimproverandolo di voler “inseguire i like” invece di “fare politica”.

Cosa ne pensa a riguardo?

“Non mi pare, noi abbiamo fatto alla Camera tantissime mediazioni con tutte le forze politiche per arrivare a una legge condivisa. Quella legge era condivisa da tutte le forze politiche, anzi posso dire che Italia Viva era forse l’attivista di maggioranza del Ddl Zan perché è stata quella che ha chiesto più modifiche e ha introdotto più modifiche, che noi abbiamo accettato anche in aula. Il cambio di passo non c’entra nulla col merito della legge, ma c’entra con dei giochini politici che alcune forze politiche hanno voluto fare sulla pelle e sui diritti delle persone. Ed è ancora più vergognoso rispetto a quello che è accaduto”.

“Ci hanno chiesto di mediare, e noi abbiamo provato a mediare in tutti i modi, ma non abbiamo mai accettato di mediare sulla dignità delle persone”, dice  Alessandro Zan di fronte alla folla che lo ascolta attento e lo applaude forte tra una pausa e l’altra, insieme a qualcuno che grida “vergogna!”. “Abbiamo tenuto la schiena dritta – continua il deputato dem -, e quell’immagine di quella politica che applaude per aver affossato una legge contro le discriminazioni non è quella che ci deve restare, perché c’è una politica che non accetta di abbassare la guardia, non accetta la mediazione a tutti i costi. Renzi, Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega ci chiedevano di togliere ‘identità di genere’, ma non potevamo accettare che una legge che combatte le discriminazioni lasciasse fuori le nostre sorelle e i nostri fratelli di qualsiasi orientamento sessuale e di qualsiasi identità di genere, trans, transgender, non-binary, asessuali, aromantici, genderfluid, siamo tutti cittadini con gli stessi diritti”.

Nei primi due articoli del Ddl Zan, infatti, si definiscono e introducono l’orientamento, il genere sessuale e l’abilismo all’interno degli articoli 604 bis e ter del codice penale. Questi stabiliscono come illegali la propaganda e l’istigazione a delinquere per motivi di discriminazione. Il terzo, inoltre, modifica il decreto legge 122 del 1993 – conosciuta come Legge Mancino -, che all’articolo 1 prevede il carcere per “chi, in qualsiasi modo, incita a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”. La proposta di legge di Alessandro Zan vorrebbe estendere questo articolo anche ai reati di violenza fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sull’abilismo.

Negli articoli seguenti, poi, viene sancita la condizione di “particolare vulnerabilità” alle vittime di violenza basata sui concetti a cui l’articolo 1 e viene istituita la giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia: il 17 maggio, data in cui cadrebbe la ricorrenza anche a livello internazionale. Per l’attuazione di un fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità, il Ddl Zan ha richiesto 4 milioni, oltre la realizzazione da parte dell’Istat di una rilevazione – a cadenza triennale – per descrivere lo stato delle discriminazioni e delle pratiche violente, e che serva come base per pensare e attuare politiche di contrasto.

Ma c’è anche un altro “ostacolo” che Alessandro Zan e i suoi dovranno superare se si vuole che la legge passi. È il Vaticano. Soltanto lo scorso 17 giugno, infatti, quando la campagna informativa riguardo il Ddl Zan era nel pieno delle sua visibilità, monsignor Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato, si è presentato all’ambasciata italiana presso la Santa Sede e ha consegnato nelle mani del primo consigliere una “nota verbale”. Nel testo, in sintesi, si scrive che questa proposta di legge violerebbe alcuni passaggi fondamentali del Concordato e in particolare, metterebbe “a rischio l’esercizio del magistero e la manifestazione di pensiero”. Da lì tutto è cambiato, e forse, a ben vedere, il voto renziano, che fino a quel momento era favorevole al disegno di legge, potrebbe essere stato a sua volta influenzato dagli ambienti più vicini alla dottrina cattolica. Dopotutto, come ha dichiarato soltanto una settimana fa, il leader di Italia Viva è ormai deciso a creare uno spazio politico centrista, ingurgitando i voti dei moderati di centrodestra e centrosinistra.

Secondo Lei ha influito più il voto dei renziani oppure il Vaticano, che a giugno si è espresso assolutamente contro questo disegno di legge?

“Io penso che l’azione del Vaticano è stata un’azione che ha avuto un effetto boomerang, perché peraltro ha interrogato la diplomazia su una legge che non era ancora approvata, quindi stiamo parlando di un intervento inappropriato. Ma su questo il presidente Draghi è stato molto chiaro: ha detto che lo Stato è laico e il Parlamento ha tutti gli strumenti per intervenire e tutte le garanzie costituzionali rispetto a dei trattati internazionali compreso il Vaticano, quindi questa è una vicenda che si è chiusa dal mio punto di vista. Il problema è che non sappiamo quali sono i senatori che hanno tradito, perché il voto segreto è segreto proprio per questo, però sappiamo che c’è una responsabilità politica. C’erano prima delle forze, coese, che hanno portato avanti questa legge alla Camera, ed è proprio grazie alla loro coesione, al loro impegno, che la legge è stata approvata. Ricordo che alla Camera ci sono stati tantissimi voti segreti, i voti segreti però noi li abbiamo superati sulla stregua della compattezza delle forze politiche. È successo che al Senato è successo qualcosa: una forza politica si è sfilata – Italia Viva -, ci ha chiesto di mediare con coloro che invece non avevano nessuna intenzione di mediare, ma volevano affossare la legge, cioè la Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia. E infatti l’hanno fatto con la tagliola che è uno strumento che ha rimandato la legge in Commissione e ora ci vorranno sei mesi per riprenderla, dunque in un contesto di fine legislatura, in questo momento è molto difficile. C’è una responsabilità politica molto chiara: se Italia Viva avesse sostenuto con forza questa legge, come ha fatto alla Camera, anche al Senato, probabilmente avremmo già una legge contro i crimini d’odio, anche con i voti segreti. Quando tu rompi il fronte, rompi il patto politico e apri a delle mediazioni che non arriveranno mai, è chiaro che questo comporta delle responsabilità politiche su quello che è accaduto mercoledì al Senato”.

Ma ora si rinizia, a partire dal suo libro “Senza paura. La nostra battaglia contro l’odio” (Piemme), che ha presentato proprio per l’occasione al pubblico di Cagliari, in conversazione con il collega dem e giornalista professionista Andrea Frailis. Si riparte da qui. “È molto importante che ci sia un’opinione pubblica consapevole, l’Italia non è quella che abbiamo visto in quelle scene vergognose in Senato”, ripete ai tanti presenti in sala. “Ma per far sì che qualcosa cambi – aggiunge – è necessario che dalle manifestazioni di piazza, che devono continuare ad esserci, si arrivi dentro le istituzioni, bisogna andare a votare. Per i nostri diritti, che sono i diritti di tutti”.

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