“La Sardegna mi ha accarezzato e coccolato. I tramonti di Alghero, vissuti mano nella mano con chi è Amore, mi hanno ricordato quanto fosse importante aver tempo per le pause e soprattutto la bellezza di prendere cura di sé stessi. La luce e la forza di Cagliari mi hanno fatto gioire per la vita e per la tenacia che voglio continuare ad avere affrontando i miei vari progetti. Sono ripartito commosso”. Andi Nganso, medico e attivista 33 enne originario del Camerun, “militante e sognatore” si legge sul suo profilo FB, ha trascorso 20 giorni all’Ospedale di Oristano per dare il suo contributo alla squadra del pronto soccorso di questo ospedale.

Ecco come il giovane medico, fondatore dell’associazione Goes Divercity contro le discriminazioni e referente Public Health per la Croce Rossa Italiana, ha raccontato la Sanità sarda.

“È quasi un mese che sono partito dal luogo che ho chiamato casa durante gli ultimi 2 anni e mezzo. Dopo le dimissioni ho fatto quello che so fare di meglio: mettere uno zaino sulla schiena e andare alla scoperta.

All’indomani del saluto ai miei colleghi a Roma, mi trovavo in fila al porto di Civitavecchia per imbarcarmi in Sardegna, una terra meravigliosa, autentica, forte e decisa. La vedevo per la prima volta. La prima Alba ad Olbia all’attracco della nave mi ha riempito il cuore di luce. I colori che mi servivano per riaccendere le scintille di tutti i sogni troppo a lungo rimasti spenti. Ho passato 20 giorni all’Ospedale di Oristano, il capoluogo di una provincia deliziosa, riservata, intima. Ho dato un contributo alla squadra del pronto soccorso di questo ospedale, così centrale per il benessere dei cittadini del centro della Sardegna, meno importanti agli occhi di chi non le dedica tutte le carezze che le servirebbero per resistere al vento delle carenze sociosanitari di questo periodo cupo. Ho accettato l’appellativo di “medico in affitto”, “dolcemente” coniato dalla stampa sarda per descrivere i professionisti e le cooperative del continente che sono arrivati per dare una mano ai Pronto Soccorso di Oristano e Ghilarza. In Sardegna non sono solo il medico nero, sono soprattutto un medico in affitto, un itinerante.

Durante una notte di lavoro, ho scoperto il volto della marginalità, del trauma del razzismo e dell’esclusione, visto dalla prospettiva della periferia del Paese. È entrato Dario in Pronto Soccorso e durante il colloquio clinico disse: “nessuno può capire cosa vuol dire essere me, qui. È dura”. Dario si trova ad Aristanis dopo l’adozione in età adolescenziale. Dario non si teneva in piedi e non riusciva a trattenere la sua rabbia: “non mi potete capire. È dura”.

Mi sono chiesto cosa volesse dire essere l’unica persona nera nelle stanze di Oristano, non di Milano, non di Roma… di Oristano, di Cabras, di Ploaghe. Mi sono promesso di pensarci.

Ad Oristano ho visto il volto della lacerazione sociosanitaria del Paese. I servizi che piano piano iniziano a mancare. I bisogni di assistenza territoriali dei pazienti si stanno modificando. La commistione tra povertà e salute sta presentando qua e là i segni importante di debolezza del sistema di welfare del Paese. E questo si vede tanto in periferia.

Ad Oristano ho ascoltato le parole preziose di una collega, che mi fece capire che la sua amata comunità aveva bisogno di un maggior impegno in ambito sociosanitario per risolvere i tanti problemi di accesso impropri al Pronto Soccorso. “Le persone non sanno a chi rivolgersi quando sono a casa. Vengono per una carezza, una parola di conforto; delle prestazioni da territorio. Complimenti per il tuo impegno nel terzo settore. Qua ce n’è bisogno. Sono a disposizione se decidi di fare qualcosa”

Quante strade sono da ricostruire… Che fare? Come attivarsi? Con chi attivarsi? Tante domande…

La Sardegna mi ha accarezzato e coccolato. I tramonti di Alghero, vissuti mano nella mano con chi è Amore, mi hanno ricordato quanto fosse importante aver tempo per le pause e soprattutto la bellezza di prendere cura di sé stessi.

La luce e la forza di Cagliari mi hanno fatto gioire per la vita e per la tenacia che voglio continuare ad avere affrontando i miei vari progetti.

Sono ripartito commosso…

La mia nuova vita da itinerante mi ha portato da una settimana in Veneto. Qui non sono medico in affitto. Qui sono uno dei tanti “medici delle cooperative”. Cambiano i luoghi, cambiano le prospettive con le quali veniamo narrati. Ma siamo sempre noi: gli itineranti.

Prescriviamoci un momento di cura quotidiana”.

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