La Costituzione italiana recita così:

Articolo 2: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità […].

Articolo 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge […], è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Articolo 5: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”.

E’ ancora in vigore? E’ ancora applicata?

Impoveriti, svuotati, sfregiati e brutalizzati da esperimenti economici scellerati (leggi Piani di Rinascita e annessi tentativi di conversione del pastoralismo all’industria pesante) i paesi della Sardegna, che vivono da decenni un abbandono regressivo delle istituzioni, possono tranquillamente dire di no. Come le famigerate riserve indiane, i nostri villaggi ospitano ancora pochi irriducibili, che mantengono acceso il fuoco dell’identità: ma sono troppi i fattori, interni ed esterni, che lo vogliono spento.

Dimenticati da concreti e innovativi programmi di sviluppo, i paesi sono stati completamente dimenticati da tutti: dalla politica e dalle istituzioni. Gli abitanti delle zone interne, cittadini di serie B, nei fatti, chiedono da tempo – attraverso gli appelli dei sindaci e la voce dell’Anci – progettazione, visione, idee attuative e sistemi valoriali che offrano la prospettiva di almeno un decennio. La risposta è il più totale disprezzo: il taglio dei servizi. Lo Stato si ritira.

Il lavoro latita, la scuola chiude, gli ospedali si smantellano, gli sportelli chiudono, i giovani se ne vanno, il turnover della pubblica amministrazione non si applica, lo stato di diritto arretra.

In questi giorni di maltempo la neve, come uno specchio, ha messo in luce tutti i problemi. “La neve da risorsa è diventato un problema” scrive Il Giardiniere nella sua pagina Facebook. E aggiunge: “Sul Gennargentu aspettiamo la neve perché con questa dovrebbero arrivare i turisti. Invece un black out con Enel paralizza 30mila abitanti per due giorni. Ed è così sempre: pochi centimetri di neve o un violento temporale e siamo al buio. La nevicata ha interrotto le telecomunicazioni (che comunque ad ogni nevicata o tempesta si interrompono). Internet funziona male sempre. La sanità scappa dalla Barbagia (anche senza neve): la guardia medica viene ogni tanto e quindi bisogna programmare le malattie. La regione finanzia piste ciclabili a Cagliari ma non le strade a Desulo o Seulo o Gadoni”.

“Si sta in paese per passione, per amore, perché il sentimento delle radici è per molti una specie di malattia” scrive il Giardiniere. “Ma si può stare senza riscaldamento per due giorni continuare a stare in paese? Si può convincere un figlio a lavorare qui, dove basta qualunque nonnulla per essere fuori dal mondo? Si può lavorare in smart working se non funziona Internet? Si può fare attività d’impresa se le banche hanno i terminali bloccati per giorni e giorni “causa maltempo”. Si può fare un foglio rosa per macellare maialetti o agnelli se c’è la linea? Si può fare turismo se le camere degli hotel sono gelide?”

In definitiva, ha senso continuare a vivere in un posto bellissimo abbandonato da tutti?

Ad Aritzo, comunità montana ai piedi del Gennargentu, dopo trent’anni non c’è più la Guardia medica. Se ti ammali crepi. Non puoi andare a Sorgono, perché anche qui l’ospedale è stato smantellato. Punti al San Francesco di Nuoro? Le cose non vanno molto meglio. La comunità che invecchia deve sperare che il freddo la mantenga in salute. E che la strada che ti porta da casa all’ospedale non sia ghiacciata, o franata. Che già in condizioni normali è già una mulattiera.

Qualche giorno fa, durante il convegno sulle Isole del Mediterraneo promosso dal Centro Italo-Arabo, il sindaco di Mandas Umberto Oppus ha lanciato un appello attraverso una frase efficace, che può diventare uno slogan: “I paesi non chiedono altro che parità. Parità di diritti, di servizi e di attenzione”.

Riempirsi la bocca di promesse è facile. Fare qualcosa di concreto, subito, per i nostri paesi, quelle comunità etniche che Antoni Simon Mossa ha definito il cuore pulsante della sardità, dovrebbe essere la priorità della Giunta regionale e dello Stato. Almeno in nome della Costituzione.

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