Antonella Camarda è la Cultural Manager del Distretto Culturale del Nuorese Atene della Sardegna, nonché direttrice del Museo Nivola e storica dell’arte all’Università degli Studi di Sassari.

Dalla sua pagina Facebook Camarda scrive: “Tra scadenze di fine anno, shopping natalizio e liste della spesa, rischia di passare sotto silenzio quello che accade a Mamoiada. Mi riferisco al bando per l’affidamento dei servizi museali del MaMu – Museo delle Maschere, Museo della Cultura e del Lavoro, MATer”.

È un piccolo museo che funziona molto bene” prosegue la nota, “e che in questi anni ha dato un contributo determinante alla rinascita del paese. Quaranta minuti di applausi per Mario Paffi e Rita Mele che hanno messo anima, cuore e cervello nell’impresa!”.

Il nuovo bando però rischia di mettere in pericolo un’eccellenza. “Oltre ai basilari servizi di apertura al pubblico, il bando richiede: iniziative didattiche e laboratoriali; convegni; studi e ricerche; mostre temporanee; pubblicazioni scientifiche e divulgative; marketing, fundraising, networking e anglicismi affini; il supporto organizzativo alle iniziative culturali e di spettacolo dell’amministrazione. Il tutto deve essere messo in bella forma in un piano quinquennale. E fin qui tutto bene” scrive Camarda.

Se non che l’unico criterio adottato per giudicare della bontà o meno della gestione museale è la vendita dei biglietti. Se il concessionario non staccherà almeno 23mila biglietti paganti all’anno, la concessione non potrà essere prorogata. Nel contesto pandemico e post-pandemico, con tutto il corollario di inflazione e aumento della povertà, incertezza legata ai flussi turistici, ai trasporti e ai collegamenti da e per la Sardegna, in piena transizione digitale che ci tiene sempre più dentro casa, una simile richiesta è di per sé un azzardo”.

Il Comune, inoltre, incamera il settanta per cento dei ricavi dei biglietti e il cento per cento di eventuali affitti dei locali, vieta al concessionario di realizzare visite guidate nel territorio e permette la vendita nel bookshop di soli libri sul carnevale (!) e “art book” e di merchandise specifico del museo. Il tutto non è esattamente uno stimolo allo spirito imprenditoriale.Il problema di fondo è, però, un altro: misurare il successo di un museo in termini di fatturato e non di impatto sociale e culturale sulla sua comunità”.

È chiaro che esiste una distorsione diffusa nei criteri di giudizio dell’offerta culturale. La quantità dei visitatori non può essere l’unico parametro valido, a meno di non dichiarare platealmente che il Codice da Vinci di Dan Brown sia un libro migliore dell’Ulisse di Joyce, che Vacanze di Natale batta Quarto Potere, e così via. Esistono strumenti di valutazione, anche quantitativi, della bontà di una gestione museale (quante iniziative culturali, quanti laboratori con le scuole, quanti progetti presentati su bandi competitivi, quante azioni di rete, quanta attività social). Se ne può e probabilmente se ne deve parlare, per costruire dei modelli concreti e coerenti, utilizzabili dalle amministrazioni locali, e magari anche più su, a livello regionale e nazionale, per costruire politiche culturali efficaci”.

In alternativa” chiude la nota “propongo la trasformazione dei musei in chioschi di pizza fritta, da vendere a prezzi popolari, per raggiungere in poco tempo e poca spesa i livelli di vendite auspicati”.

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