Il Sud sta spopolando. In Sardegna il numero di giovani che non studiano e non lavorano è pari a quello di Grecia, Turchia e Romania. La nuova povertà ha origine nella disuguaglianza digitale. Una fonte di disagio sociale è direttamente connessa al rapporto con il digitale, che è penalizzante per larghe fasce di popolazione.

“The e-Skills Manifesto” è una sorta di specchio del reale ed è stato elaborato da European Schoolnet e Digitaleurope: fotografa il livello delle competenze digitali in Europa e dice una cosa semplice. Il lavoro digitale complessivamente cresce, ma nel Sud Italia, e in Sardegna per sineddoche, l’educazione digitale sembra non tenere il passo. Eppure le tecnologie TIC oggi offrono la possibilità di accelerare gli sviluppi industriali e favoriscono la nascita di modelli di business innovativi, di nuovi servizi e nuovi lavori: facilitando per soprammercato l’accesso all’educazione e a nuovi metodi di apprendimento.

Troppo spesso le aziende, anche nell’Isola, non riescono a individuare e a formare persone con competenze adatte alle loro necessità. La riduzione del gap digitale favorirebbe al contrario l’assunzione di molti neoassunti sviluppatori, analisti di dati, specialisti di e-commerce, tecnici di cyber-security. Il lavoro c’è, i lavoratori non si trovano. In Sardegna più che altrove.

È dunque necessario fare in fretta: le ultime previsioni dicono che la crescita occupazionale in futuro riguarderà soprattutto i lavori altamente qualificati, mentre le opportunità per la manodopera poco qualificata diminuiranno drasticamente.

Sarebbe necessario fornire nuove opportunità formative a chi c’è, e politiche attrattive per chi ancora non c’è, e vorrebbe trasferirsi nell’Isola. Ma la Sardegna, che ha contribuito a far nascere Internet e ha partorito un humus culturale fecondo, nel lasso di tempo a cavallo tra gli anni duemila e duemilaventi, oggi è ferma al palo. Un altro treno passa e rischiamo di perderlo in corsa. Si vuole davvero perdere l’opportunità di trovare la bussola della storia?

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