La crisi tra Russia e Ucraina rischia di avere conseguenze per le esportazioni manifatturiere dalla Sardegna verso Mosca e San Pietroburgo ma anche per il turismo sardo. Secondo le ultime rilevazioni Ufficio Studi di Confartigianato Sardegna, su base Istat al terzo trimestre 2021, l’export delle imprese isolane verso l’ex Unione Sovietica è di 13milioni e 600mila euro di controvalore, rappresentati da alimentari, abbigliamento, articoli in pelle, macchinari e attrezzature, tessile, mobili, legno e sughero, stampati ma anche prodotti chimici e di raffinazione, in netta crescita rispetto al 2013, periodo in cui i prodotti sardi valeva solo 5milioni e 600mila euro.

Dall’area di Cagliari partono verso la Russia 13milioni e 600 mila euro di prodotti, dal nord Sardegna 331mila euro, dalla Provincia del Sud Sardegna 51mila, da Nuoro 15mila e da Oristano poco più di 2mila. Per quanto riguarda il turismo, secondo il SIRED (Osservatorio Sardegnaturismo dell’Assessorato Regionale al Turismo), nell’ultimo anno pre-pandemia nell’Isola arrivarono 40mila russi equivalenti a 220mila presenze.

“Siamo molto preoccupati per la situazione che si potrebbe creare con una guerra nel centro dell’Europa, prima di tutto dal punto di vista umano – commenta Maria Amelia Lai, presidente di Confartigianato Imprese Sardegna – poi anche a livello commerciale con l’interruzione dell’export o con l’imposizione di eventuali altre sanzioni che, quanto meno, metterebbero a rischio i rapporti che le nostre imprese stanno consolidando e accrescendo a Mosca e in tutti gli altri importantissimi centri”.

Qualche anno fa Confartigianato Sardegna si espresse per l’eliminazione delle sanzioni che stavano danneggiando l’export sardo. “Dalla nostra esperienza diretta sul mercato russo, attraverso la quale accompagnammo diverse imprese dell’agroalimentare – aggiunge Daniele Serra, segretario di Confartigianato Imprese Sardegna – le sanzioni esistenti per i prodotti alimentari freschi rappresentarono e rappresentano un serio danno anche per le realtà sarde.  Si pensi che un prodotto sardo di punta, come il formaggio, in pratica non può essere esportato. Però in Russia si trovano una quantità e molteplicità di formaggi provenienti dalla Svizzera; tutto ciò a danno delle nostre attività alle quali si preclude la possibilità di entrare in questo mercato. Oggi questo danno potrebbe ulteriormente aggravarsi”.

Una escalation potrebbe anche portare all’interruzione degli arrivi dei turisti russi che in Sardegna passano le vacanze o effettuano investimenti immobiliari.

“I rapporti tra la nostra regione e la Russia sono sempre più stretti grazie al turismo e ai voli diretti tra Mosca, Olbia e Cagliari – concludono Lai e  Serra – per questo motivo le imprese sarde, manifatturiere, dei servizi e delle vacanze, sono molto preoccupate per le conseguenze di una crisi di tale portata. Tutti questi settori potrebbero essere colpito duramente. In particolare l’agroalimentare, in grado di esprimere eccellenze molto apprezzate dai compratori e dai visitatori russi ma il più esposto a dazi e limitazioni”.

L’analisi a livello nazionale

Un escalation della crisi ucraina, oltre ad ampliare gli effetti della crisi energetica in corso, rappresenterebbe un ulteriore fattore critico per le imprese manifatturiere italiane, strette nella tenaglia di aumento dei prezzi delle commodities, difficoltà di reperimento di materie prime e del  personale, lunghi tempi di consegna e aumento dei costi del trasporto via container. Una analisi delle conseguenze di lungo periodo della crisi di Crimea del 2014 evidenzia che, nonostante le prolungate sanzioni economiche alla Russia conseguenti al conflitto del 2014 – lo scorso 13 gennaio l’Unione europea le ha prorogate fino al 31 luglio 2022 – sale la dipendenza dal gas russo, la cui quota sui volumi delle importazioni Ue di gas naturale tra il 2013 e il 2020 aumenta di 1,6 punti percentuali. La dipendenza dal gas russo – espressa dal peso sul valore dell’import di questa commodity –  sale anche in Italia.

Il made in Italy in Russia tra il 2013 e il 2021

Le conseguenze del precedente conflitto russo-ucraino di otto anni fa si sono scaricate interamente sulle esportazioni verso la Russia che, tra il 2013 e il 2021, per l’Unione europea a 27 cumulano un calo del 23,4%, con una maggiore penalizzazione del made in Italy (-29,3%) rispetto alle esportazioni di Germania (-26,1%), Spagna (-21,9%) e Francia (-19,6%). Tra i prodotti maggiormente venduti dalle imprese italiane in Russia, nei sette anni in esame, il calo è drammatico per la moda (-43,4%), rimane severo per i macchinari (-26,7%), mentre, in controtendenza, sale l’export della chimica (+20,6%).

Il made in Italy in Russia nel 2021

Sulla base delle stime preliminari dall’Istat, si calcola che nel 2021 l’Italia ha un interscambio con la Russia di 7.697 milioni di euro di esportazioni e di 13.984 milioni di euro di importazioni, di cui il 53,5% è costituito da petrolio greggio e gas naturale, pari a 6.841 milioni di euro (import cumulato degli ultimi 12 mesi ad ottobre 2021). Nel 2021 le esportazioni verso la Russia segnano un rimbalzo dell’8,8%, ma risultano ancora inferiori del 2,3% rispetto ai livelli pre-pandemia del 2019. Il valore del made in Italy venduto in Russia nel 2021 rimane inferiore del 28,5% ai livelli del 2013, precedenti allo scoppio del conflitto russo-ucraino del 2014.

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