È la rockstar della Storia medievale italiana. Un’impresa che sarebbe sembrata impossibile ai più, in un Paese dove le materie umanistiche faticano a decollare. Eppure, il professor Alessandro Barbero, storico, accademico e scrittore, ci è riuscito. Vuoi per la sua verve nel raccontare fatti e personaggi di un’epoca ricca di aneddoti, colpi di scena e gusto del macabro, vuoi perché dopo i programmi tv è scoppiato il podcast che porta il suo nome, con tutte le sue lezioni tenute nelle università e nei teatri d’Italia, oggi l’esperto medievista è tra i più seguiti anche dalle nuove generazioni.

“Non sono uno specialista della storia della Sardegna, che è eccezionalmente stratificata e profonda, però noi viviamo in un angolo di mondo, il Mediterraneo, dove ovunque la storia presenta queste caratteristiche. Io mi chiedo cosa pensano gli americani quando gli diciamo che viviamo in un posto dove sono almeno duemila anni che la gente abita qui”, dice prima di salire sul palco del Festival Rete dei Castelli, al Teatro Comunale nel Parco S’Arei di Sanluri. Per l’occasione, lo storico ha raccontato la guerra nel Medioevo, partendo dalla battaglia combattuta il 30 giugno 1409 proprio nel centro abitato del Medio Campidano, tra l’esercito sardo-arborense e quello catalano-aragonese per il governo dell’Isola. Uno scontro di portata internazionale, che si concluse con la conquista del territorio da parte degli iberici.

“La Sardegna – aggiunge Barbero -, essendo un’isola, ha delle peculiarità sue più forti, e alcune di queste stratificazioni hanno un’impronta che non si trova da nessun’altra parte. Solo chi vive qui la può studiare e pretendere di esserne un conoscitore”. Non è stato facile, nemmeno per lui, riuscire a organizzare il discorso per l’incontro “Guerra nel Medioevo. Storie, Miti e Leggende”, ideato insieme al direttore scientifico dell’evento Giorgio Murru, che lo ha presentato seduto a fianco del sindaco di Sanluri, Alberto Urpi. “Quando ho iniziato a preparare la scaletta mi sono venuti i sudori freddi – racconta lo storico – perché ci sarebbero troppe cose da dire. Proverò a seguire un filo logico per aiutare a capire cosa voleva dire la guerra per generazioni e generazioni di nostri antenati. Perché il Medioevo è lunghissimo in confronto all’epoca moderna. Perché alla fine erano gente come noi, avevano le stesse pulsioni, seppur con idee diverse. La guerra è una parte del comportamento umano, sempre presente in passato e presente ancora oggi”.

Questa sera racconta di un fatto storico che dice tanto sulla formazione del popolo sardo, che vien fuori da tanti incontri di culture diverse, ma che oggi rivendica la propria nazionalità. Secondo lei si può parlare di “nazionalità sarda”?

È un tema molto delicato. Le risponderò in maniera più generale: i popoli e le nazioni così come le loro identità etniche non sono una cosa fissata una volta per tutte. Ma sono cose che nascono, muoiono, compaiono a un certo punto. La stessa cosa vale per le lingue: non è che le lingue e i dialetti sono due categorie separate di modi di parlare e che un certo modo di parlare è per definizione una lingua oppure un dialetto, e resta tale. Non è così. Tutte le parlate umane servono per dire ‘mamma’, per dire ‘ti amo’, per dire ‘è ora di potare la vigna’, queste cose si possono dire in tutte le lingue del mondo, e dialetti. Poi noi siamo abituati a chiamare lingue quelle che sono capite in una zona di vasta estensione, che hanno dietro di sé una statualità. Una lingua, ad esempio, si dice tale quando è lingua di uno Stato, e poi siamo abituati a chiamare lingue quelle in cui si può esprimere qualunque cosa. In questo senso però, appunto, non è che ci sono parlate che sono condannate per sempre a non diventare lingue. Il catalano è stato un dialetto per tanto tempo, perché era parlato soltanto dai contadini e dai mercanti a casa, invece oggi è una lingua. Allo stesso modo le nazioni non sono qualche cosa che per definizione o sei una nazione oppure sei soltanto un’identità regionale. Dipende dalle circostanze storiche, dipende da dove ti spingono le circostanze storiche. Dipende se tu ti identifichi con uno Stato a cui anche la tua zona appartiene o se invece tu hai la sensazione che sei troppo diverso, che la tua identità non è parte di quella lì più grande. Questo significa, credo, che è anche una questione di cosa si vuol essere e di come ci si sente. Non sono parametri oggettivi. Io ad esempio so di essere torinese, so di essere piemontese, mi sento tutto sommato italiano perché quando incontro un inglese solidarizzo anche con i veneti, napoletani, siciliani e lombardi, ci sentiamo di avere molte cose in comune. Però mi sento anche europeo. Le identità son sempre tante e stratificate. Conta molto la consapevolezza. Sente di essere una nazione un popolo dove in linea di massima la maggior parte delle persone si percepisce come una nazione.

Stando sull’attualità, con la guerra in Ucraina, come spesso accade sul web, tante notizie son state manipolate e in alcuni casi falsificate per distorcere la realtà dei fatti. Accadeva anche nel Medioevo? Come venivano “sbugiardate”?

In realtà è una caratteristica della modernità l’avere a disposizione dei mezzi di comunicazione di massa che puoi manipolare. Nel Medioevo era molto più difficile. La modernità vuol dire Napoleone che fa la guerra e ogni giorno pubblica il bollettino della Grande Armata in cui racconta come sta andando la guerra. E lo racconta lui, racconta quello che vuole e lo fa pubblicare sul ‘Moniteur’, sul giornale ufficiale, e tutti gli altri giornali di Francia devono aspettare che venga pubblicato e riprendere il bollettino dell’imperatore. È da allora che la guerra comporta la manipolazione deliberata. È da allora la volontà di dire i nostri nemici sono molto cattivi, la sensazione che siccome siamo in guerra noi abbiamo ragione e loro hanno torto, noi abbiamo tutte le ragioni perché siamo molto buoni. Questa è una reazione naturale dell’essere umano in una situazione terribile come la guerra, però nel Medioevo tutto questo si riduceva al fatto che le voci si rincorrevano fra la gente, non che non arrivassero le notizie eh, arrivava il viaggiatore, arrivava il mercante, e tutti le apprendevano da lui. Ma era molto meno probabile che il potere potesse manipolare come invece, con a disposizione i mezzi della modernità, succede oggi. A noi il ‘Moniteur’ di Napoleone ci può far sorridere, ma in realtà il quotidiano dell’anno 1810 aveva la stessa potenza di manipolazione che Internet può avere per noi, perché in rapporto alle condizioni del tempo l’impatto era quello.

Ultima domanda. Il podcast di Alessandro Barbero, realizzato dal giovane sviluppatore web Fabrizio Mele, è tra i più ascoltati su Spotify. Come si spiega questo grande successo? Ha intenzione di sbarcare anche lei sui social prima o poi?

Questo grande successo si spiega perché io sono bravissimo [scherza]. Quello che mi sento di dire è che evidentemente nei podcast riesco a trasmettere il fatto che quando la gente mi vede mi ascolta, ma in realtà ascolta me che stavo parlando a un pubblico, che avevo delle persone davanti. Raramente mi sono cimentato nel registrare in studio senza pubblico, non mi sono divertito e non ho intenzione di farlo in linea di massima in futuro. Quindi diciamo che semplicemente lì si è creato questo corto circuito virtuoso, tra il fatto che a me appassiona molto avere un pubblico davanti e parlare a un pubblico, vedendo le facce delle persone che mi sentono, e poi questa cosa una volta trasformata in podcast funziona. È un’alchimia che si è creata. Io comunque mi tengo lontanissimo da ogni tipo di social e ne sono molto felice, e continuerò a farlo.

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