È morto Ciriaco De Mita. L’ex premier e segretario della DC era stato sottoposto lo scorso febbraio a un intervento chirurgico per la frattura di un femore in seguito a una caduta in casa. Aveva 94 anni e attualmente era sindaco di Nusco, suo paese natale.

Sul finire degli anni ’80, De Mita era diventato l’uomo più potente d’Italia, dopo essersi presentato come rappresentante della corrente di sinistra del suo partito, nonché simbolo della provincia nostrana. Era nato infatti in un paesino di montagna dell’alta Irpinia da una famiglia di sarti. Dopo aver frequentato il liceo si trasferì a Milano, alla Cattolica, e da lì iniziò la sua carriera politica.

Fu eletto alla Camera per la prima volta nel 1963 e lì rimase per trent’anni di fila. Nel 1969 divenne vicesegretario della DC, quattro anni dopo arrivò la nomina a Ministro all’Industria. Dopodiché dal 1988 al 1989 ricoprì la carica di Presidente del Consiglio, quando il sassarese Francesco Cossiga era Capo dello Stato.

Un punto di contatto con l’Isola, questo, che De Mita non amò più di tanto. Quel che lo infastidiva più di tutto, politicamente parlando, era il “sardismo diffuso” che il presidente Mario Melis era riuscito a rendere pop anche per le nuove generazioni che all’epoca non si sentivano rappresentate dai gruppi nazionali. Per questo, il democristiano disprezzava pubblicamente il progetto autonomista del partito di Melis, tant’è che lo definì un “mezzo terrorista”, in riferimento all’episodio che vide coinvolti quattro attivisti indipendentisti accusati di essere appoggiati da Gheddafi. Ma il presidente sardista non si lasciò intimorire, convinto com’era di poter raggiungere il suo obiettivo: fare del popolo sardo, un popolo autonomo, slegato dalle logiche dei partiti nazionali. “Il vero bersaglio di De Mita è il partito socialista e la cosa ci offende, ci umilia – diceva Melis in un’intervista rilasciata a Repubblica -. Ancora una volta la Sardegna, e il governo dei sardi, vengono piegati alle lotte di potere nazionali. Ha ragione il professor Passigli: sono le lotte del ‘palazzo’ romano che si proiettano sulle vicende regionali e le stravolgono”.

Il partito di Melis, in effetti, dava parecchio fastidio alla Democrazia Cristiana che fino a quel momento era stato a capo delle più alte cariche politiche e non aveva nessuna intenzione di cedere il posto a nuovi gruppi, specie se contrari all’accentramento di potere che aveva disegnato la Storia italiana dal dopo guerra in poi.

Uno scontro aperto che coinvolse direttamente anche l’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga. “Cercheranno di fermarci anche con le manette – diceva ancora Melis -. Mi attendevo che il sardo Cossiga difendesse da queste accuse infamanti le istituzioni della sua regione. Sto ancora aspettando”. Ma il sassarese non batté ciglio e restò fedele alla sua bandiera, senza cogliere, però, la vera modernità della visione politica di Melis: un sardismo diffuso, appunto, che ancora oggi trova un importante sostegno in terra sarda, al contrario delle “vecchie guardie”, costrette a ritagliarsi uno spazio di compromesso tra centrodestra e centrosinistra e giocare, se così si può dire, all’ago della bilancia.

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