Sono passate da poco le ore 24 della notte di domenica 26 giugno. S., un uomo di trentadue anni, sta facendo una passeggiata in macchina con a bordo D., un amico malato di sclerosi multipla. Vanno al Poetto, passano davanti al Cavalluccio Marino per tornare a casa. E qui succede un episodio inquietante. L’ennesimo, che ha come protagonisti un gruppo di giovani annoiati che cercano un pretesto per menare le mani e sfogare contro ignari e innocenti malcapitati la propria rabbia interiore.

“Arrivato in auto davanti alle attività dei chioschi ambulanti, quelli che a Cagliari vengono chiamati Caddozzoni, ho rallentato a passo d’uomo”, spiega S.

Il suo tono è fermo, consapevole e chiaro.

“Un ragazzo, senza un motivo reale, ha cominciato a inveire contro di me”. “Mi stai guardando! Ha iniziato a urlare. Io ho distolto lo sguardo per evitare qualsiasi fraintendimento, ma quello non smetteva”.

S. è un uomo alto un metro e ottanta, pesa ottanta chili, va regolarmente in palestra. Non ha paura di un ragazzetto. Ma non cerca guai. Va avanti con la macchina, poi è costretto a fermarsi allo stop. E qui il ragazzino lo insegue, e tira un calcio sulla fiancata.

Non si ferma subito. “Avevo paura che il mio amico si spaventasse. Ho proseguito per una quarantina di metri, poi ho accostato e sono sceso per verificare l’entità del danno”.

A questo punto il ragazzino, non pago, si mette a correre. Arriva come un lampo. “Ha provato a darmi un calcio volante, l’ho schivato. Ho provato a parlargli, ma era pieno di rabbia. Così mi sono spostato dentro i cancelli del Cavalluccio, per provare a farlo ragionare. E qui sono arrivati gli amici”.

A S. arriva una ginocchiata alla schiena, e un lieve pugno sul volto, che procureranno sette giorni di cure accertati dal pronto soccorso. Passa una pattuglia della Polizia. S. racconta i fatti. Il ragazzino invasato scappa via. Gli amici vengono fermati, danno le proprie generalità ma si rifiutano di dare quelle dell’amico che ha iniziato la rissa. “Siamo amici”. Qualcuno chiede scusa. Ma prova anche a giustificarsi: “Siamo dei ragazzi, si sa che siamo fatti così”.

Resta da chiedersi se al posto di S. avessero trovato un altro, uno più debole o più spaventato, oppure uno meno razionale e più feroce, come sarebbe andata a finire.

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