Volto noto de “Le Iene”, Roberta Rei si afferma come giornalista e conduttrice del programma tv tra i più seguiti a livello nazionale, dopo anni di gavetta alle spalle. È a Pechino che si avvicina al mondo dell’informazione, quando parte come interprete alle Olimpiadi del 2008. Dopo un anno in America, torna in Italia per seguire un master in Giornalismo allo Iulm di Milano: esperienza che le aprirà la strada ai più importanti quotidiani italiani, da Rai News al Fatto Quotidiano e Repubblica, con cui inizia a collaborare.

Nelle sue inchieste, la reporter napoletana racconta di ambiente, criminalità organizzata e migranti. E proprio con quest’ultimo tema vincerà nel 2012 il Premio Giuseppe d’Avanzo. Poi arriva il lavoro a L’Espresso e ad Agorà, dove si distingue per una narrazione tutta rivolta ai protagonisti delle sue storie, mentre lei resta sempre dietro la telecamera.

Nel 2016 il salto: entra a far parte del cast e della redazione de “Le iene” di Davide Parenti e continua, in veste di inviata in giacca e cravatta total black ad affrontare tematiche a lei molto care, realizzando dei servizi di successo che le varranno la conferma per le edizioni successive. Tra i suoi servizi più noti sicuramente quelli sui casi di malasanità, sul Covid-19, sul caso Weinstein, sullo scandalo delle multe cancellate a Roma, sul caso Bellomo, sul caso Fausto Brizzi, sui terremotati del centro Italia, sul caso di Tiziana Cantone. Ma la “iena” dedica anche molti servizi alla tragedia dell’hotel Rigopiano, il caso di Dayane Mello, modella brasiliana vittima di violenza sessuale da parte di Nego De Borel durante il reality brasiliano “La Fazenda”, che porterà all’espulsione del rapper.

Nella serata di venerdì 2 settembre è stata ospite di Bookolica – il festival dei lettori creativi, in una location d’eccezione: La Maddalena. Arrivato ormai alla sua quinta edizione con un gran lavoro con le comunità del territorio, quest’anno ha scelto di concentrarsi su un tema di grande attualità: la violenza, e in particolare quella sulle donne. Tema molto caro alla stessa Rei, che più volte si è confrontata con tante giovani e meno giovani che si sono rivolte a lei per raccontare la loro storia.

In questa edizione del festival si parla di violenza. Tu che da reporter ne hai viste tante, a cosa pensi quando si parla di violenza?

Spesso le persone che mi contattano che hanno subito violenza o ingiustizia di qualsiasi tipo si affidano totalmente a me, a noi giornalisti in generale, pensando che possiamo sostituire in qualche modo le forze dell’ordine. Devi sapere che io invece sono sempre la prima a chiedere “hai denunciato?”, perché ci tengo a far sì che i binari non vengano spostati. Capita spesso che soprattutto dinanzi alla violenza di genere, quella sulle donne, le denunce, tantissime, non hanno sortito alcun effetto. In quel caso cerchiamo di intervenire ma con le dovute cautele. Bisogna capire bene. Per quanto riguarda la violenza sulle donne ogni intervento dev’essere sempre ponderato. Sulla violenza criminale, mi riferisco a mafia e camorra, lì devi fare in modo che la vittima che si affidi a te non abbia poi delle conseguenze peggiori, perché non sai mai come possa evolvere la situazione.

Che rapporto hai tu personalmente con la violenza?

Di rabbia, perché io ho un forte senso di giustizia sociale, di qualsiasi tipo. Poi ce la metto tutta per dare una mano. Quello che caratterizza il nostro lavoro a Le Iene è di cercare sempre di raccontare queste storie e dare un apporto concreto alla soluzione del problema. Non sempre ci riusciamo, ma la maggior parte delle volte il successo è notevole.

Durante la pandemia hai raccontato tante storie di persone che hanno contratto il Covid e hanno rischiato la vita. Dopo due anni, però, c’è una fetta sempre più consistente di persone che pensano che sia tutta una messa in scena. Perché secondo te?

Io ho seguito il fenomeno di QAnon, quella teoria cospirazionista che è nata in America e poi si è diffusa in tutto il mondo, che al suo interno ha un po’ di queste teorie: da quelle no vax ad altre complottiste. Io credo che un po’ sia la paura a portare le persone a non fidarsi ad esempio della scienza, dei vaccini, nei confronti dei quali c’è sempre stata questa reazione. Francamente riesco però anche a capire queste persone che dinanzi a un’informazione confusa, che c’è stata soprattutto nel primo periodo della pandemia, ha portato molti a chiudersi e a non fidarsi del “sistema”, cercando di affidarsi a se stesso oppure a quelle subculture o gruppi Telegram. Ma non è un fenomeno nuovo, c’è sempre stata questo tipo di paura, credo che la pandemia l’abbia accresciuta, e poi stata strumentalizzata da altri.

Gli stessi giornalisti sono tacciati di propagandare fake news. Anche la trasmissione “Le Iene” è stata più volte accusata di fare disinformazione. Quando è stato il momento in cui le cose si sono ribaltate?

Diciamo che Internet in generale ha aumentato la quantità d’informazione in modo esponenziale quindi è molto difficile controllarla lì, sta ai singoli attenersi alla propria coscienza e ai vari editori e direttori controllare sempre quello che pubblicano. Per quanto riguarda Le Iene io sono sempre molto dritta: i casi storici, come Stamina, ad esempio. Io non ero ancora alle Iene all’epoca, lavoravo per un altro giornale e venivo mandata a tutte le loro manifestazioni per seguirle, ma seguirle in modo positivo. Facevo una cronaca molto basica. Il punto è che Le Iene fanno tutto in modo amplificato, avendo a disposizione un mezzo come quello dispositivo, quindi in quel caso sono risultati come i portavoce di quel caso, ma non c’erano solo loro. Tra l’altro il metodo Stamina era considerato anche a livello ministeriale. Quindi io dico sempre chi non fa, non sbaglia. Dopodiché quando si sbaglia, si chiede scusa. Però francamente per quanto riguarda la disinformazione sei sempre tu e il tuo lavoro, non è il programma, quindi sta a te. Non c’è nessuno che ti dice fai cosi oppure accentua questo aspetto, per cui l’errore attiene sempre al singolo.

Il tuo primo approccio con il mondo del giornalismo è stato in Cina, un paese che oggi muove i fili dell’economia globale, e non solo. Tu che hai avuto modo di conoscere questo Paese, che cosa ti aspetti che succeda? Penso ad esempio alla guerra in Ucraina, al rapporto di forza con gli Usa o alla situazione a Taiwan, tra gli altri.

La Cina è un gigante silenzioso che si riesce a inserire laddove ci sono dei buchi. Nel momento in cui adesso l’Occidente si sta allontanando dalla Russia, ci si sta avvicinando alla Cina. Per quanto riguarda l’energia e gli scambi commerciali, loro si uniscono mentre noi, con le sanzioni, ci separiamo. Anche l’atteggiamento che ha avuto la Cina nei confronti della guerra in Ucraina è stato: ovviamente condanniamo l’invasione, perché ci tiene molto ai confini – vedi appunto Taiwan – però dall’altro lato non è che abbia preso posizioni forti contro la Russia, le sanzioni non ci sono state. È l’equidistanza mandarina classica che porterà la Cina ad avere uno sviluppo sempre maggiore perché, a conti fatti, anche in Africa ad esempio stanno aumentando la loro presenza. Però attenzione perché all’interno del Paese la spesa del popolo sta diminuendo e si dovrà far fronte alla distribuzione delle ricchezze perché ci sono delle disuguaglianze allucinanti: lì ci sono proprio i “troppo ricchi” con i “troppo poveri”.

A proposito di Africa, la questione migranti è tornata al primo posto nell’agenda politica italiana in vista delle prossime elezioni. Anche in Sardegna la scorsa settimana son sbarcate oltre 200 persone e son stati trovati cinque corpi in mare, probabilmente in seguito a un naufragio. Qual è la situazione nel Mediterraneo oggi?

Ma oggi di Libia si parla poco, nessuno si sta chiedendo cosa sta succedendo e stanno succedendo bei casini, perché lì c’è un vuoto di potere pazzesco. La Meloni parla di blocco navale, ma il blocco navale sarebbe un accordo da fare con il governo libico. Ma di che governo parliamo, visto che non c’è? Quindi diciamo che c’è un problema di fondo. I migranti non si fermeranno mai finché sfrutteremo quei Paesi. In più ora c’è l’aggravante della crisi climatica, è quello il problema. Io sono stata in Africa, ai confini con la Somalia e altre terre più colpite, e ora c’è questa incredibile ondata di migranti climatici perché non hanno più come sopravvivere. C’è la più grave siccità degli ultimi vent’anni: non piove, e se piove piove pochissimo. C’è sempre stata in Africa, ma di questo tipo mai. Le popolazioni nomadi si stanno spingendo sempre più verso i confini e la scelta è tra pagare i trafficanti per farli arrivare da noi oppure morire lì.

Tornando al festival, son tanti i giornalisti d’inchiesta che presenteranno i loro lavori realizzati sia in Italia che all’estero, eppure sembra che il settore in questione stia andando a picco a favore di nuove figure come gli influencer o i tiktoker. Cosa ne pensi? Cosa si rischia di perdere senza il supporto di un professionista dell’informazione?

Ma guarda io sono dieci anni che faccio questo lavoro e già all’epoca mi dicevano “la carta stampata sta morendo”, “la televisione sta morendo”, e invece sono ancora qui. È vero il contrario: vedi la pandemia, vedi la guerra in Ucraina, non c’è mai stato così tanto bisogno di informazione corretta. L’informazione non morirà mai, cambierà forme, magari sarà sempre più online, ma anche questo si diceva già da tempo. Mi sento di dire, per quanto sia divertita da Tiktok, sono cose diverse. Su Instagram ci sono vari canali che danno informazione, ma sono più che altro esplicativi, e va benissimo così. Ma se magari domani Tiktok dovesse iniziare a fare informazione, allora andrò anche lì.

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