Era il 1° ottobre 2004. Esattamente 18 anni fa veniva pubblicato a Cagliari il primo numero del Giornale di Sardegna, la free press fondata dal vulcanico editore Nicola Grauso, che per circa sei anni ha cullato il sogno di essere il terzo quotidiano della Sardegna.  La storia del giornale si snoda tra  due date. Il primo ottobre 2004 e il 14 gennaio 2011, quando il Tribunale di Cagliari ha messo definitivamente la parola fine a quella esperienza, sancendone ufficialmente il fallimento.

Nel mezzo c’è una pagina molto significativa del giornalismo isolano. Un quotidiano che da Cagliari è riuscito ad espandersi a quasi tutta la Penisola, con una tiratura complessiva che ha raggiunto quasi 800mila copie. Un gruppo di circa 200 tra giornalisti, poligrafici, amministrativi e pubblicitari che, nella bellissima redazione al piano terra di un palazzo di viale Trieste, ha vissuto tutta la gamma delle emozioni che un progetto editoriale può portare: dall’entusiasmo per l’uscita del numero zero, in una notte di fine estate del 2004, fino allo sconforto e alla rabbia per la perdita del posto di lavoro.

Il “modello Epolis”

Nato come un quotidiano regionale, il Giornale di Sardegna inizialmente mira a competere con i giornali storici L’Unione Sarda e La Nuova Sardegna. Per editarlo Grauso attende pazientemente la scadenza del patto quinquennale di non concorrenza con l’editore Sergio Zuncheddu a cui, nel 1999, aveva dovuto cedere a malincuore L’Unione Sarda.

Quello che compare in edicola la mattina del 1° ottobre 2004 è un corposo giornale di 80 pagine in gran parte a colori formato tabloid. Metà è dedicato agli avvenimenti nazionali, metà a quelli regionali e locali. La redazione, diretta dal romano Antonio Cipriani, è formata inizialmente da una trentina di giornalisti di età media intorno ai trent’anni. Molti provengono dall’Unione Sarda o dalla Nuova Sardegna.

Quasi subito il nome della testata originaria viene abbreviato in Il Sardegna con due edizioni, una blu per il Sud ed una rossa per il Nord Sardegna. L’edizione dedicata al Nord Sardegna, con redazioni a Sassari e Olbia, inizia ad essere distribuita dal 19 settembre 2005 nelle province di Sassari e Nuoro, raggiungendo nel 2006 una diffusione di circa 50mila copie.

In due anni il quotidiano di Grauso diventa il terzo quotidiano sardo. Ma è nel 2006 – dopo un breve stop ordinato dal Tribunale di Cagliari in seguito al ricorso degli edicolanti che contestavano il doppio canale di distribuzione delle due testate (la maggior parte free e un 30% in edicola alla metà del prezzo di un normale quotidiano) – che nasce il cosiddetto  “modello E Polis”. Alle due testate sarde vengono infatti aggiunti una serie di quotidiani locali che sorgono in tutta Italia. La strategia di Grauso e Cipriani è semplice e innovativa: confezionare tanti giornali locali dotati di piccolissime redazioni periferiche che utilizzino le pagine nazionali preparate dalla redazione centrale di Cagliari.

Nell’ottobre 2006 il gruppo E Polis dichiara una tiratura complessiva di circa 780.000 copie e impiega in tutta Italia ben 136 giornalisti, di cui 40 nella redazione centrale di Cagliari.

L’inizio della fine

Ma proprio nel periodo di massima espansione la creatura di Grauso inizia a vacillare. I debiti aumentano a dismisura, anche a causa delle difficoltà nella raccolta pubblicitaria (nel 2007 Grauso aveva deciso di creare una concessionaria indipendente interna al gruppo, Publiepolis).

La diminuzione degli introiti fa soprattutto lievitare il debito con lo stampatore Umberto Seregni che, il 20 luglio 2007, interrompe la pubblicazione di tutti i 15 quotidiani E Polis.

Per i circa 200 dipendenti del gruppo si aprono le porte della cassa integrazione, che si richiudono dopo un mese quando E polis viene rilevata dall’imprenditore trentino Alberto Rigotti, presidente della Abm Merchant.

Rigotti sigla con Grauso un protocollo d’intesa per il rilancio del gruppo con nuovi investimenti e innovazioni. Cambia anche la guida delle testate: all’inizio del 2008 Antonio e Gianni Cipriani, direttore responsabile e condirettore dei quotidiani, escono di scena lasciando il posto all’ex giornalista di Repubblica Vincenzo Cirillo che assume la direzione.

Per circa un anno tutto sembra funzionare. Ma all’inizio del 2009 iniziano i primi ritardi nei pagamenti. Ai dipendenti, sistematicamente costretti a scioperare per ricevere lo stipendio, vengono chiesti ulteriori sacrifici. Finché, alla fine del luglio 2010, quando ormai i debiti accumulati dal gruppo sono diventati una voragine, le pubblicazioni vengono definitivamente sospese. Il 9 settembre 2010 i lavoratori vengono sfrattati dalla sede cagliaritana di viale Trieste e poche settimane dopo, il 21 settembre, la stessa sede chiude.

La campana finale suona il 14 gennaio 2011 quando il Tribunale di Cagliari dichiara il fallimento. I giudici accertano, tra E Polis e la concessionaria Publiepolis, debiti complessivi per circa 130 milioni di euro. Dalle indagini della Guardia di Finanza si rileva che nel corso degli anni la società non ha versato i contributi e il Tfr ai dipendenti. Non sono state pagate neppure le rate dei mutui che alcuni cronisti hanno acceso con l’Inpgi, la cassa di previdenza dei giornalisti che alla fine lamenterà un ammanco di quasi 4 milioni e 800mila euro di contributi previdenziali non versati.

La storia del terzo giornale della Sardegna finisce qui. Resta il ricordo di quel primo corposo tabloid uscito nelle edicole cagliaritane il primo ottobre di 18 anni fa. Il resto sono  carte bollate, avvocati e inchieste giudiziarie. Sogni infranti, sfiducia. Rabbia. Nel 2012 arrivano pure gli avvisi di garanzia per sette componenti del consiglio di amministrazione di E Polis e Publiepolis e dopo la chiusura dell’inchiesta per bancarotta fraudolenta, nel giugno 2014, per Rigotti si aprono le porte del carcere (altri due membri del cda finiscono agli arresti domiciliari). Un triste epilogo per tutti quelli che hanno creduto nel progetto iniziale di Grauso e hanno fatto tanti sacrifici per provare a mantenere in piedi il terzo giornale della Sardegna.

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