(Foto credit: Kyberteatro)

Quattro uccellini stilizzati sono costretti a “cinguettare” dal movimento meccanico di una manovella. Sullo sfondo l’indaco misto al lilla di un cielo freddo, cittadino, industriale. È l’opera di Paul Klee, dipinta nel 1922. Si chiama “Die Zwitscher Maschine” (“La macchina cinguettante”) e sembra aver anticipato di un secolo esatto la società odierna.

Oggi gli uccellini si sono spostati su Twitter, ma le cose non sono cambiate. Dopo la promessa di una società più equa e libera, “social” in una parola, ci si ritrova a fare i conti con un nuovo capo, Elon Musk, che ha già annunciato drastici tagli al personale e un ritorno tra le scrivanie degli uffici. Un passo indietro, anzi indietrissimo, in una società che è sempre più disposta a lasciare il proprio posto di lavoro in cambio di mezz’ora in più di tempo per sé.

Da questa suggestione nasce “Twittering Machine”, live performance multimediale in cui parole, visual e musica elettronica costruiscono un racconto tragicomico, che è anche una storia qualunque di tutti i giorni, che potrebbe capitare a un qualsiasi dipendente di una grossa multinazionale.

Lo spettacolo è firmato dal collettivo romano ADA, vincitore dell’Open Call Internazionale del festival LMDP9. In occasione della nona edizione del festival Le meraviglie del possibile, organizzato da Kyberteatro, il performer Pasquale Passaretti – che ha risposto alle nostre domande , la compositrice musicale Lady Maru e la visual artist Loredana Antonelli, hanno portato sul palco nella serata di venerdì 18 novembre, in anteprima a Cagliari, l’assurdità della società contemporanea in un monologo scandito come la bacheca di un social network.

Non si poteva scegliere tema più attuale, oggi che Elon Musk ha annunciato drastici tagli al personale che da dieci anni ormai lavora per la piattaforma social.

Sì questo spettacolo è nato parallelamente alla formazione del nostro gruppo, per cercare di creare un tipo di teatro dove prosa, visual e musica elettronica siano sullo stesso piano, quindi nessun ambito sia a servizio dell’altro. Siamo partiti dal quadro di Paul Klee che ho visto personalmente dal vivo a New York. Ci siamo soffermati a osservarlo attentamente e da qui ognuno di noi ha costruito una propria storia: io sul piano drammaturgico-testuale, Loredana sui visual e Lady Maru su quello del sound. Abbiamo interpretato un quadro che risale al 1922 e che senza volerlo ha anticipato i nostri tempi. Ci sorprende anche il nome dell’opera che in inglese si traduce con ‘Twittering Machine’, che è anche il nome del nostro spettacolo. Anche l’utilizzo degli uccelli stilizzati rimandava un po’ al senso dei social: nel quadro si vedono questi uccelli incatenati a questa sorta di manovella che si gira in un movimento paranoico, e più si muovono e più questa manovella continua a girare. Diciamo che non si capisce chi muove cosa: se è la macchina che muove gli uccelli o sono gli uccelli che muovono la macchina.

Che è un po’ quello che succede al protagonista di questa storia, un dipendente qualsiasi dei giorni nostri.

Sì abbiamo voluto raccontare la storia di un dipendente di una multinazionale che durante un venerdì si trova di fronte a un fatto inaspettato, che lo trattiene di più del dovuto a lavoro. E questo episodio gli fa fare delle riflessioni, su come viva la sua vita in loop, in ripetizione, sempre allo stesso modo, proprio come se fosse una bacheca di un social, che sembra sempre diverso ma in realtà resta sempre lo stesso.

C’è però un’evoluzione rispetto all’opera di Paul Klee: se lì gli uccellini sono costretti a “cinguettare”, oggi gli utenti sembra non possano fare a meno di un social come Twitter.

Sì c’è proprio questa ambiguità nel quadro, non si comprende chi muove cosa. È proprio lì sta il nostro tentativo di racconto: se il male è la piattaforma o chi la vive. Quella zona grigia dove poi, al di là anche dei social, ci fa capire cos’è che rende ‘cattiva’ la giornata di una persona: è la persona in sé, è il contesto o entrambi? Nello spettacolo facciamo anche esempi di vita vissuta in città. Banalmente anche il barista, facendo un caffè, nella sua posizione applica un potere verso chi riceve il caffè. Mi è capitato di farci caso quando ho assistito di persona a un episodio in particolare: c’erano dei ragazzi che probabilmente stavano rientrando da una festa, era molto presto, di mattina. Per riposarsi avevano preso in tre uno o due caffè. E il barista a un certo punto dice ‘non potete stare qua mezz’ora per un caffè, ve ne dovete andare subito’. Anche una storia così semplice evidenzia come certe persone che si trovano così, se vogliamo, in ruoli di potere applicano questo tipo di cattiverie. È la stessa cosa che avviene quando magari aspettiamo la metro, e qualcuno purtroppo si suicida: non è che pensiamo cosa c’è dietro quel gesto, ma subito diciamo ‘ma proprio oggi si doveva ammazzare questo? Ora faccio anche tardi a lavoro’.

Qualcosa però forse sta cambiando: dopo la pandemia da Covid, sono migliaia i dipendenti che al colloquio di lavoro chiedono sempre più flessibilità tra vita lavorativa e privata. È soltanto una meteora o le cose son davvero destinate a cambiare?

A me sembra un’assurdità che nonostante abbiamo avuto delle prove, dei messaggi che certe cose si possono fare e fanno bene a tutti, appena finita l’emergenza si dimenticano. Come per esempio lavorare da casa: molte aziende hanno dichiarato che non solo hanno riconfermato gli standard passati, ma in molti sono anche migliorate. Detto questo, però, ci sono altri imprenditori che fanno tutt’altro, vedi Elon Musk che dice ai suoi dipendenti di tornare in ufficio. Ritorniamo sempre al punto di partenza. Le cose positive sembrano sempre meteore, proprio perché forse siamo ancora troppo legati a delle dinamiche passate, novecentesche, dove il capo ancora vuole fare il capo e per farlo ha bisogno di farlo dal vivo. E quindi io mi domando: è una questione politica? È una questione di dimostrare continuamente il potere che uno esercita sugli altri?

Nel vostro spettacolo utilizzate dei vocali di conversazioni via chat. Intanto come li avete raccolti? E poi, proprio da questi messaggi emerge un altro paradosso dei social che dovevano accorciare le distanze tra utenti e invece sembrano aumentarle.

Sì lo spettacolo inizia proprio così: c’è il protagonista che arriva in scena, sta per dire qualcosa, ma poi prende subito il telefono e utilizza i messaggi vocali come la sua stessa voce. È un modo anche per indicare, enfatizzando chiaramente, che oggi sembra si sia persa la possibilità di parlare. Le nostre voci sono voci meccaniche, velocissime, che a tutti gli effetti sostituiscono anche le nostre conversazioni. Ora non voglio fare il ‘boomer’ della situazione né tantomeno voglio dire che si stava meglio prima e altre cose del genere, però possiamo raccontare che in alcune situazioni di estrema solitudine, forse sarebbe meglio che questi meccanismi non ci fossero. D’altra parte è vero anche che in alcuni casi, penso alle persone più anziane, ci si riesce a tenere in contatto anche stando a casa. Diciamo che è tutto vero e tutto falso. Io tra l’altro sono della generazione anni novanta, dove c’era un mantra che diceva che la tecnologia avrebbe garantito l’autodeterminazione e l’autocoscienza dell’individuo. E invece, siamo ancora qui.

Leggi le altre notizie su www.cagliaripad.it