(Foto credit: IMI Sardegna)

Nella Giornata della Memoria del 27 gennaio sono tante le celebrazioni organizzate in tutta Italia per ricordare le vittime dell’Olocausto e della forza bruta sotto il regime fascista e nazista.

Ad essere internati nei lager e poi sterminati furono 6 milioni di ebrei, oppositori politici, omosessuali, rom, slavi e tutti coloro che non rientravano nel folle concetto di “razza ariana”. Secondo altre fonti, però, come il Museo dell’Olocausto di Washington, i morti sarebbero molti di più: dai 15 ai 20 milioni, uccisi nelle oltre 42mila strutture tra campi tedeschi e quelli creati dagli stati collaborazionisti dalla Francia alla Romania.

La Sardegna è tra le regioni che ha pagato il prezzo più alto in termini di deportati, sia politici che militari: furono circa 12.000 mila i soldati sardi rinchiusi nei lager, fra i 750-800 mila militari e civili fatti prigionieri dai nazisti dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943.

Alla base di una cifra così alta c’è il contesto geografico prima di tutto. In seguito all’armistizio, molti militari si trovavano sui fronti di guerra in Grecia, Albania, Slovenia e Dalmazia. Lì fu chiesto loro di scegliere: aderire alla Repubblica sociale di Salò o diventare prigionieri dei tedeschi e dunque venire imprigionati nei lager. Dopo la fuga di Badoglio, quasi nessuno aderì alla RSI, così il loro destino fu segnato.

Ma non furono soltanto i militari sardi a subire questa tragica fine. Ai 12mila deportati, vanno aggiunti i circa 290 civili internati come ebrei o dissidenti politici. Tra questi si ricordano: Elisa Fargion (nata a Cagliari nel 1881, arrestata a Ferrara nel 1944, deportata ad Auschwitz e uccisa nelle camere a gas); Vittoria Mariani (nata a Porto Torres nel 1904, arrestata nel 1944 alla frontiera svizzera, liberata a Bergen Belsen); Zaira Coen-Righi (nata a Mantova nel 1879, sposata con un ingegnere sardo, insegnante al liceo “Azuni” di Sassari, estromessa dalla cattedra in seguito alle leggi razziali, trasferitasi a Firenze fu arrestata e portata a Fassoli e ad Auschwitz dove finì in camera a gas nel maggio 1944).

Per motivi politici, infine, risulta soltanto un solo sardo arrestato in Sardegna, gli altri finirono in mano tedesca in Continente o all’estero.

La quota maggiore degli arresti – circa 50 – avvennero nel carcere militare di Peschiera. Da qui furono inviati in massa nel campo di sterminio di Dachau il 22 settembre 1943. Tanti altri invece arrivavano da Milano, Genova e Trieste.

Oltre la metà dei deportati sardi proveniva dalle province di Cagliari e Sassari. La maggior parte di loro era molto giovane (nati tra il 1910 e il 1924), ma ci furono anche anziani e adolescenti.

Diverse le destinazioni. Molti di loro furono internati a Mauthausen e Dora, mentre due sardi finirono a Bergen Belsen e altri cinque ad Auschwitz. Le motivazioni sono da ricondurre a un’unica matrice: vennero considerati “pericolosi per la sicurezza del reich”. Tra loro tanti partigiani e loro familiari e amici, collaboratori, soldati che si rifiutarono di combattere per la Germania, civili presi nei rastrellamenti.

Oltre la metà di loro sopravvisse.

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