(Foto credit: Michela Murgia Instagram Page)
Dopo l’intervista al Corriere della Sera ha rivelato di avere un “tumore al quarto stadio” e che le restano “mesi di vita”, in cui la scrittrice e attivista sarda Michela Murgia torna sul tema della sua famiglia queer.Termine molto caro alle nuove generazioni e già utilizzato dalla stessa nel suo ultimo saggio “God save the queer” – di cui avevamo avuto modo di parlare in quest’intervista – che indica tutti coloro che non si ritengono eterosessuali né cisgender, e cioè che identificano il proprio genere con il proprio sesso biologico.

Dopo aver, quindi, trattato della mortalità dell’uomo come “unica verità” – come aveva precisato la scrittrice e matematica, molto vicina alla scrittrice sarda, Chiara Valerio -, oggi Murgia si concentra sui rapporti familiari non istituzionalizzati dallo Stato italiano eppure presenti.

Dalle famiglie omogenitoriali alle coppie di fatto fino ai “figli di anima”, che la Sardegna conosce bene. Non è la prima volta, tra l’altro, che la scrittrice e attivista isolana ha raccontato di essere stata cresciuta dai suoi zii proprio in quest’accezione. La stessa con cui viene tirata su la protagonista del suo romanzo best seller “Accabadora”.

Due giorni fa, Murgia ha scritto sulla sua pagina Instagram di condividere da molti anni la maternità con Claudia, una architetta, con cui forma una coppia omogenitoriale. “Da dodici anni condividiamo un figlio, Raphael”, scrive. Il giovane, racconta la scrittrice, quando aveva appena nove anni, l’ha presa per mano e le ha detto: “Non voglio che te ne vai mai più”. Così è iniziata una maternità condivisa, non riconosciuta delle leggi e non tradizionale, dato che nel frattempo la scrittrice sarda ha divorziato e Claudia si è sposata.

“Abbiamo vissuto tante cose insieme, ma una cosa non è mai cambiata: siamo rimaste le madri di Raphael”, continua Murgia. “È stato facile? Sì e no. La parte facile l’ha fatta lui, che ha un’intelligenza emotiva che noi neanche dopo una vita di analisi. La parte difficile l’hanno fatta gli altri. Parentado biologico diffidente, quando non ostile. Compagni giudicanti. Conoscenti morbosi. Mille spiegazioni”, prosegue, ammettendo che le preoccupazioni continuano a non mancare. “C’è la paura che a una dogana qualcuno ti chieda perché viaggi all’estero con un minorenne che non è tuo figlio. La certezza che non puoi andarlo a prendere a scuola, perché non sei nessuno. La preoccupazione che a lei succeda qualcosa e tu non possa dire: ci sono anche io. O che succeda qualcosa a te e lui non possa dire: era mia madre. Ci siamo nascoste per anni, madri in casa, amiche fuori, per far stare tranquillo il mondo. Poi un anno e mezzo fa mi sono ammalata ed è cambiato tutto”.

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