Scalinata di Arzachena dipinta da Giorgio Casu (Foto credit: Giorgio Casu)

È facile pensare alla Sardegna. Mare, sole, spiagge incantevoli, luoghi con dei panorami da urlo accompagnano l’immaginario di migliaia di persone. Ma il ricco patrimonio sardo attinge anche da altri lidi. C’è quello culturale e artistico, ad esempio. Che richiama il rapporto dei piccoli centri e dei suoi talenti creativi con la società. Che richiama testimonianze concrete di popoli e paesi con colori, immagini, idee, innovazione.

La Sardegna è anche terra d’arte.

Secondo alcuni studi, le prime manifestazioni artistiche nell’Isola risalgono persino al Neolitico, quando comparvero le prime decorazioni sulle ceramiche. Poi piccole statuine e alcuni vasi ornamentali.

Ma prima di avere a che fare con forte bisogno d’arte, la Sardegna dovrà attendere diversi secoli. È dai decenni finali dell’Ottocento che prende coscienza la necessità di uno sviluppo artistico e culturale che fin lì non era mai stato preso in considerazione. È a quel punto che si alimenta un fermento che vedrà l’ascesa, ad inizio Novecento, di artisti e intellettuali sardi di primissimo livello.

Francesco Ciusa e Filippo Figari fanno da apripista ad una esplosione che dagli 50′- 60′ in poi vedrà la nascita di gruppi di ricerca artistica che prende forme via via sempre diverse ed entusiasmanti. Al loro fianco, nei paesi come nelle città cresce la nascita o il consolidamento di musei, mostre, gallerie. E l’arte si sposta dagli studi privati alle strade, con l’avvento dei murales e della street art, opere di riqualificazione urbana associate a temi fortemente legati alle origini dei luoghi.

Ma da quale punto può iniziare chi non conosce la storia dell’arte sarda? Si dice che un buon modo è quello di andare a riprendere le figure più note, quelle che in qualche modo hanno influenzato l’Isola con le proprie opere. Sono almeno cinque, queste figure. Ciascuna con un modello artistico diverso.

Costantino Nivola

Una vita fatta di distacchi, determinazione e abilità. Quella di Nivola è una parabola quasi da “sogno americano”. Nato a Orani, cresciuto manovale, scopre l’arte attraverso il pittore Mario Delitala trasferendosi a Sassari. È solo il primo di una serie di trasferimenti in una vita dove il rinnovarsi continuo pare necessario e significativo.

Alla fine del 1931 si trasferisce a Monza per frequentare l’Istituto Superiore per le Industrie Artistiche (ISIA). Qui si iscrive alla sezione di Decorazione pittorica e poi a quella di Grafica pubblicitaria. La vicinanza all’ambiente milanese e la presenza di insegnanti di alto profilo lo spingono ad una curiosità bulimica verso nuove forme stilistiche.

L’architetto Giuseppe Pagano, suo maestro, lo coinvolge nell’allestimento di mostre alla Triennale di Milano del 1936 e all’Expo di Parigi del 1937. Negli stessi anni entra in Olivetti e in un anno e mezzo inizia la sua scalata, passando da semplice disegnatore al ruolo di direttore artistico. Nel 1938 sposa una ragazza ebrea, Rutt Guggenheim, e questo – assieme alle sue idee antifasciste – rappresenta un problema. Si sposta, dunque, prima a Parigi e poi arriva a New York.

Nella città americana avviene una nuova svolta. Lavora come art director per riviste di architettura e diventa amico e discepolo di Le Corbusier. Compra una casa a Springs e il giardino, creato insieme all’architetto Bernard Rudofsky, diventa una singolare opera d’arte ambientale, con una serie di stanze a cielo aperto e muri ornati da graffiti e un solarium con decorazioni cubiste.

Nel 1950 inventa una nuova tecnica chiamata “sandcasting”. Si tratta di un metodo per creare sculture in cemento da matrici di sabbia. È un tipo di rilievo ottenuto con un procedimento piuttosto semplice: la forma viene modellata sulla sabbia. Su di essa si versa poi una colata di gesso (nei modelli e nelle sculture piccole) o di cemento (nelle opere più grandi), che asciugandosi dà vita al rilievo definitivo. Successivamente Nivola perfeziona il procedimento, adattandolo all’esecuzione di grandi opere monumentali.

Tra gli anni 50′ e 60′, peraltro, diventa uno dei più apprezzati scultori in America, scatenando uno scoppiettante dibattito sulla qualità delle sue opere. Opere che denotano un modo di rimanere legato alle proprie origini: rivisita infatti, in forme moderne, la tradizione popolare e preistorica della Sardegna, incentrandosi in particolar modo sulla rappresentazione di figure femminili.

Per Nuoro realizza la sua prima opera pubblica in Sardegna: una piazza dedicata al poeta Sebastiano Satta. In giro per il mondo, invece, la sua attività lo porta a lavorare su personali d’arte, sculture, monumenti, graffiti, ceramiche. Insegna inoltre alla Harvard University e all’Università di Berkeley, e all’Accademia Reale delle Belle Arti dell’Aja, in Olanda.

Muore a Long Island il 5 maggio 1988 lasciando un patrimonio artistico inestimabile.

Maria Lai

Il mondo delle arti, quando esordì, era dominato dagli uomini. Una situazione complessa per la quale, secondo il racconto di alcune sue ex collaboratrici, sentiva lo sconforto di una vita vissuta all’ombra di colleghi e amici. Maria Lai, però, nell’ombra non ci vivrà. Ed anzi regalerà all’arte sarda alcune narrazioni artistiche che vivono ancora oggi come la prima volta.

Le origini sono ad Ulassai. La sua storia è un simbolo d’indipendenza femminile, capace di riscrivere un futuro che pareva già apparecchiato. La conoscenza dell’artista Francesco Ciusa le permette di avvicinarsi all’arte. È un amore a prima vista che alimenta la passione e la curiosità. Per questo si trasferisce a Roma dove si diploma al liceo artistico e poi a Venezia dove frequenta l’Accademia di Belle Arti. Finita la guerra, torna in Sardegna dove prende il via la sua carriera.

Apre il suo studio e crea alcune personali d’arte. Seguono dieci anni di silenzio che per lei saranno molto proficui. Accresce il suo legame con la tessitura, riprende tecniche legate alla tradizione sarda. Produce opere fondamentali e ad oggi tra le più note come Tele e Libri cuciti, Pani e Telai. Sono gli anni più significativi per la sua carriera artistica, durante i quali produce opere polimateriche e con materiali spogli.

Quando riprende a esporre, le sue opere fanno il giro d’Italia: da Roma a Savona, da Venezia a Milano. Ma è nel 1981 che dà luce alla sua opera più grande, tanto che per alcuni si tratta del suo capolavoro. Un’opera che la lega per sempre a Ulassai e che denota il suo amore silenzioso per il paese.

Quando nel 1978 il sindaco di Ulassai Antioco Podda le commissiona un monumento per ricordare i caduti in guerra, Maria Lai pensa invece ad un’opera che coinvolga tutto il paese. Prende ispirazione da un fatto realmente accaduto ad nel 1861, quando crollò un costone della montagna travolgendo un’abitazione. Morirono tre bambine, ma una riuscì a salvarsi e aveva in mano un nastro celeste. La popolazione considerò il fatto un miracolo divino e ne conservò il ricordo

L’opera prende il nome di “Legarsi alla montagna”. L’idea è quella di legare tutte le case tra di loro con un nastro celeste, che poi verrà ancorato alla montagna sovrastante, come simbolo del rapporto tra gli uomini e la natura.

Il risultato è suggestivo e avvincente. E coinvolge donne e uomini che si impegnano a dare vita all’opera, ricavandone ben ventisei chilometri di strisce azzurre. Scalatori esperti legarono il nastro al Monte Gedili, la montagna più alta sopra il paese, luogo emblematico per il sostentamento che nella memoria collettiva era stato anche portatore di morte.

Nasce in quel momento l’Arte Relazionale, ovvero la capacità di rendere il pubblico partecipe alla costruzione e alla definizione di un’opera. Muore a Cardedu il 16 aprile 2013. Fino alla fine continua a studiare e creare numerose opere d’arte contemporanea, che finiscono esposte non solo in Italia ma in tutto il mondo.

Pinuccio Sciola

Aprire le braccia al mondo dando un suono ed una visione al proprio estro. Giuseppe Sciola, noto anche come Pinuccio Sciola, è stato un grandissimo mediatore culturale, in grado di esportare l’arte sarda in giro per i continenti. Salvo sviluppare il suo progetto più grande: rendere San Sperate, il suo paese d’origine, un borgo-museo. Qui risiedono le sue opere più ambiziose e più celebri.

Nato da una famiglia di contadini, scopre sin da subito una particolare predisposizione per la scultura e per l’arte. A tal punto che all’età di 17 anni alla Prima Mostra d’arti figurative per gli studenti di ogni ordine e grado nel circolo de La Rinascente a Cagliari, dove con “Opera prima” vince una borsa di studio che gli permetterà di frequentare il Liceo Artistico a Cagliari.

Dopo il diploma, Sciola compie una scalata dietro l’altra. Frequenta corsi in giro per l’Europa e prende confidenza con i movimenti degli anni 60′. Salisburgo, Madrid, Parigi lo formano e fanno crescere in lui l’esigenza di ritornare al proprio paese per creare un’opera magnifica. L’idea è quella di trasformare San Sperate in un Paese Museo. Dalle sue iniziative nascono le prime vere forme di Arte Ambientale e Pubblica in Italia, che coinvolge tutta la cittadinanza.

Illustra il progetto e il suo risultato in diverse occasioni pubbliche in giro per il mondo, per il quale ottiene numerosi riconoscimenti. Sancisce il gemellaggio artistico tra San Sperate e il quartiere popolare Tepito di Città del Messico. Ma è in questo turbinio di emozioni, che decide di cambiare totalmente la prospettiva della sua arte. Che si arricchisce di nuovi elementi.

Agli inizi degli anni 90′, dopo una lunga ricerca artistica, Sciola elabora la teoria per cui le pietre custodiscono la memoria della terra a cui appartengono. Va così alla ricerca della loro voce interiore. Creando delle piccole fratture e passandovi un oggetto, queste emettono suoni. Nasce così la magia che prende il nome di Pietre Sonore, che diventa una risorsa anche per compositori e musicisti interessati a sperimentare col suono.

Oggi il Giardino sonoro è un museo all’aperto con numerose e grandi sculture che somigliano a monoliti neolitici, che se accarezzate dalle mani o da una piccola pietra si raccontano attraverso suoni e vibrazioni.

Nel 2012 viene nominato Commendatore dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana, come riconoscimento della sua attività artistica. Nel 2015 invece ricevere il Premio Donna del Marmo 2015 per il suo importante contributo alla storia della scultura.
Muore a Cagliari il 13 maggio 2016. Quel giorno, San Sperate lo omaggia appendendo lenzuola e drappi bianchi a tutte le finestre e balconi. La memoria delle sue opere viene portata avanti dai suoi figli attraverso la Fondazione Pinuccio Sciola.

Liliana Cano

Respirare le passioni che caratterizzeranno una vita sin da piccoli, aiuta. Liliana Cano è nata a Gorizia da genitori sardi. Figlia di una pittrice e nipote di uno scultore, da loro ereditò la il piacere dell’arte e della pittura.

Gli studi a Torino, all’Accademia Albertina dove affina il talento. Quindi giunge per la prima volta in Sardegna a 20 anni, una volta che si chiude la seconda guerra mondiale. Non perse tempo: entrò subito in contatto con i movimenti artistici sardi, partecipando alle iniziative e alle mostre collettive. È un inizio, perlomeno.

Ma non sa che la svolta è dietro l’angolo. E che dovrà lasciare l’isola per trovare nuovi sbocchi e riconoscimenti. Lascia dunque la Sardegna negli anni 70′, si stabilisce prima a Roma dove vedere emergere il proprio talento e poi si sposta all’estero. Spagna e Francia accolgono le sue opere, in una esplosione di colori e di opere.

Nell’isola ritorna nel 1996. La passione per l’arte non l’abbandona fino agli ultimi giorni di vita, quando all’età di 96 anni muore a Sassari. Nel frattempo ha prodotto tantissime opere, spesso di grande formato, realizzate su grandi tele e pannelli, esprimendo una pittura moderna, solida ed energica.

Sono celebri il monumento alla donna e le sei pareti decorate della chiesa di San Lussorio a Oliena, e il murale di Bono dedicato a Giommaria Angioy.

Giorgio Casu

In una intervista disse che prima di morire avrebbe voluto riempire la Sardegna di, almeno, una decina di enormi murales. La strada è intrapresa, e Giorgio Casu da San Gavino Monreale di certo non si fermerà tanto presto.

La pittura non era nel suo processo di crescita. Lo è diventato, a poco a poco, a seguito di un corso di arte-terapia praticato con ragazzi con disabilità. È in quel momento che Jorghe, così come ama firmare le sue opere, inizia ad esplorare il disegno e la pittura. È un amore folgorante, ma per esprimersi, come spesso accade, ha necessità di esplorare il mondo.

Casu unisce la passione per il colore a quella per i viaggi. Parte. Prima va in Inghilterra, dove inizia a esporre in alcune mostre. Poi è una avventura continua: Australia, Messico, Costa Rica, Thailandia, Indonesia, India, Filippine, Stati Uniti. In questi luoghi studi e assorbe la cultura e le tradizioni, che diventano punti focali della propria composizione artistica. Non produce solo quadri, ma anche murales e abiti.

Negli States, la sua carriera prende una piega particolare. Un giorno entra in contatto con una associazione che avrebbe dovuto curare una mostra alla Casa Bianca. Rimangono innamorati del suo ritratto di Barack Obama, compiuto in occasione della sua elezione a presidente nel 2009. Un gioiello artistico che viene scelto come il migliore, tra tutti i ritratti del presidente, così da entrare a far parte della ‘Permanent Collection of White House’. La sua arte prende il vento e approda anche al Times Square Center di New York con l’opera “The Owl”.

La morte di un amico e l’intenzione di ricongiungersi con i luoghi d’origine, lo riportano a San Gavino Monreale nel 2014. Qui contribuisce alla nascita di un movimento artistico, che in pochi anni rende la cittadina come un museo a cielo aperto ed uno dei modelli più replicati in giro per la Sardegna. In questo caso sviluppa tutte le sue conoscenze ed esperienze e le lega alla tradizione sarda: dal realismo magico ad Eleonora d’Arborea, dalla Pavoncella sarda alla ritrattistica di personaggi realmente esistiti e inseriti nel contesto in cui vengono realizzati.

Dopo il successo di una personale con oltre 70 dipinti all’Exmà di Cagliari, si ritrova ad Arzachena. L’arte si unisce alla magnifica scalinata che conduce alla Chiesa di Santa Lucia, teatro della sua nuova opera: “Aurora”. Una lunga ed eccezionale rappresentazione di giovane fanciulla ritratta nell’atto di leggere.

Contenuto realizzato in collaborazione con la Regione Sardegna, Assessorato del Turismo, Artigianato e Commercio.