(Foto credit: Francesca Ardau)

C’è un settore nella cultura sarda che si divide in due parti. Si tratta del cinema, che così tanto ha dato alla Sardegna in termini di racconti, di storie, di rappresentazioni. Tentando in qualche modo di sganciarsi dall’epica di una terra arcaica, arretrata, incapace di dare una visione sarda.

Poi c’è il 1997. C’è un prima e un dopo quella data, che risulta fondamentale per capire la crescita della scena isolana. C’è un prima un po’ stereotipato, molto italiano, che vive nei paesaggi dei film western, nelle evoluzioni comiche in terra sarda di Franco e Ciccio e nel film “Padre padrone” dei Fratelli Taviani, che nel 1977 sconvolge la critica e il pubblico. Un film di alto livello, in grado di vincere la Palma d’Oro a Cannes. Un dramma realistico dal respiro mitico, fiaba crudele dai registri grotteschi che in parte i sardi respingono. Non a caso, a seguire quella data, pare esserci un apparente vuoto nella cinematografia sarda.

Poi arriva il 1997. Per molti è una data storica. Esattamente come stava avvenendo nella letteratura, emergono delle figure che al cinema sardo daranno una impronta decisiva, insieme locale e globale. Esce “Il figlio di Bakunin“, diretto da Gianfranco Cabiddu. Qualche bel segnale lo aveva regalato un anno prima Enrico Pau con il corto “La volpe e l’ape”. Ma Cabiddu – portando sullo schermo l’omonimo libro di Sergio Atzeni – fa fare a tutta la scena un salto quantico importante. Traccia un solco, segna una linea. Dice che i registi sardi sono in grado di raccontare la Sardegna con uno spirito nuovo, moderno, elegante ma anche poetico.

La pellicola è uno spartiacque. Nuovi temi, nuovi personaggi, nuovi linguaggi. Poche affinità col passato, molte divergenze. Una messa in scena più legata alla coralità e al rispetto della sardità di luoghi e persone. Calata in un contesto completamente contemporaneo, che coglie vizi e virtù sia della città che della periferia. E se in parte ne analizza l’evoluzione, in parte ne descrive tratti comici e drammatici, surreali e onirici.

Con l’ingresso negli anni 2000, la Sardegna vive un’età d’oro quantitativa e qualitativa. Non sono tantissimi i film, ma sono tanti i registi e tante le opere di alta qualità. il cinema prodotto in Sardegna inizia a garantire un indotto lavorativo considerevole, oltre a rappresentare un volano per l’immagine dell’Isola nel mondo. Partecipa nei principali festival italiani ed internazionali, ottiene una sfilza di recensioni positive e di premi.

La lista dei registi è particolarmente lunga. Oltre a Gianfranco Cabiddu ed Enrico Pau, emergono Giovanni Colombu, Salvatore Mereu, Sergio Naitza, Peter Marcias, Paolo Zucca, Giuseppe Cau, Piero Sanna, Giovanni Coda, Antonello Grimaldi, Bonifacio Angius. E il pubblico apprezza: sia nell’isola, che in “continente”.

Per dare una maggiore visibilità alle opere dei registi sardi, fanno un gran lavoro la Sardinia Film Commission e il progetto Visioni Sarde. Veicolando anche all’estero lavori documentaristici e cortometraggi, pellicole con un tocco insieme divertito e disincantato, drammatico e introspettivo.

Per avere una idea precisa ed efficace di quanto la Sardegna possa essere toccante e poetica, ci sono tre film che rappresentano al meglio il percorso del cinema sardo.

Ballo a tre passi – di Salvatore Mereu

Quattro piccole storie scandiscono il passaggio delle stagioni in Sardegna. Girato quasi tutto in dialetto sardo, è una veduta su miserie e trionfi della vita. Al suo esordio, Mereu dilata spazi e tempi, unisce un cast di attori professionisti e non, dà vita ad una forma di “realismo magico” in salsa sarda. Accomuna una varietà di lingue e di stili. È stato presentato al Festival di Venezia 2003, dove ha vinto il Premio come Miglior film della sezione, la menzione speciale Premio Luigi De Laurentiis. Ha ricevuto anche un David di Donatello, un Ciak d’oro e tre candidature ai Nastri d’argento.

La Stoffa dei Sogni – di Gianfranco Cabiddu

Una nave con a bordo una modesta compagnia di teatranti e dei pericolosi camorristi naufraga sulle coste dell’Asinara. Tre dei camorristi decidono di spacciarsi per teatranti, con l’aiuto (riluttante) del capocomico Oreste Campese, per sfuggire alla cattura da parte del direttore del carcere. Cabiddu mescola due testi di Eduardo De Filippo e la traduzione che Eduardo fece de “La tempesta” di Shakespeare in una sceneggiatura originale che racconta la capacità del teatro di trasformare la realtà. L’ambientazione dell’Asinara è il palcoscenico perfetto in cui la storia prende corpo, si sublima, cogliendo dal proprio baule un ricco bagaglio narrativo. Il film ha ottenuto tre candidature ai Nastri d’Argento, nove candidature e un premio ai David di Donatello.

L’uomo che comprò la luna – di Paolo Zucca

Una coppia di agenti segreti italiani (Stefano Fresi e Francesco Pannofino) riceve una soffiata dagli Stati Uniti: pare che qualcuno, in Sardegna, sia diventato proprietario della luna. Nell’isola giunge un soldato che nasconde la propria identità sarda e tenta di scoprire chi abbia comprato la luna e perché. Con un finale a tratti fantascentifico ma dal tratto morale molto forte: la difesa e la valorizzazione delle radici isolane. Zucca propone una commedia che fa ridere e riflettere, mescolando poesia, farsa, surrealismo e satira. La pellicola ha ricevuto due candidature ai Nastri d’Argento.

Contenuto realizzato in collaborazione con la Regione Sardegna, Assessorato del Turismo, Artigianato e Commercio.