Molti avranno visto delle decorazioni dei cubi in via Roma a Cagliari. La mano è di un’artista cagliaritana, Mara Damiani, per dimostrare che le superfici apparentemente “brutte” possano diventare un’opportunità di narrazione.

Cosa deve fare l’artista se non diffondere bellezza in ogni luogo? E cosa deve fare l’artista se non creare spazi? Quei muri da riempire arrivano da un sogno lontano, a cui le persone devono credere perché prima o poi l’universo restituisce tutto, magari con le forme più impensabili. 

Mara voleva essere pittrice. A 4 anni amava disegnare e lo faceva tra gioco e studio. Alla fine degli anni ’80 è al Liceo Artistico di Cagliari di via San Giuseppe, indirizzo architettura e poi va alla facoltà di Architettura di Firenze.

“Mi mancava troppo il disegno figurativo e la pittura, perciò ammisi ai miei genitori che in realtà avevo sbagliato scelta, desideravo frequentare l’Accademia di Belle Arti di Brera. Così, nel ’91 mi trasferii a Milano, cinque anni di studio dedicati alla crescita nel campo del disegno e della pittura”. Un cambio di direzione che la proiettò in un mondo che aveva un nome prestigioso, Disney. “Nonostante fossi orientata al lavoro legato al campo del publishing, licensing e Merchandising, interfacciarmi con i clienti Disney mi permise di ampliare la mia formazione, con uno sguardo sempre rivolto alla creazione di un prodotto in grado di narrare, emozionare ed educare”.

Narrare, emozionare, educare, tre parole che illuminano la sua vita. Nulla viene lasciato al caso: un processo di studio, analisi, creazione e narrazione come dei calcoli matematici, per raggiungere un risultato perfetto. L’arte è matematica, ricerca della forma perfetta. Poi c’è l’ispirazione: Mara si innamora di Caravaggio per il gioco di luci e ombre che creano tridimensionalità, poi scopre Gustav Klimt e la secessione viennese, ammirando il romanticismo della sua pittura e incrocia Alfons Mucha e la secessione di Praga, un artista a tutto tondo: “Siamo nel periodo del Liberty, l’arte esplode ovunque, travolge l’architettura, i vestiti, gli accessori, i mobili, i manifesti, oggetti quotidiani, diviene uno strumento pubblicitario assoluto”.

Avrebbe preso una macchina del tempo per poter vedere come un progetto nato per creare una “semplice” sedia potesse declinarsi in un decoro per una parete o un broccato per un abito, un dettaglio di un gioiello, un’anta. Gli artisti che ci ispirano sono come guide,”piccoli grilli parlanti” che parlano e le suggeriscono. 

Le esperienze diventano pezzi di puzzle. Poi ci sono incastri di vita, quando “alla ricerca di me stessa incontro concettualmente Eugenio Tavolara ed è qui che nasce il progetto dedicato al patrimonio culturale della Sardegna”. È la sua epifania, raccontare la Sardegna in modo nuovo e innovativo. Le influenze locali non si fermano: Felice Melis Marini, su cui ha scritto la tesi, e mentre studia a Milano, scopre una vasta corrente artistica in Sardegna, dove “ogni artista desiderava scoprire il mondo esterno per ritornare all’interno, restituendo ciò che c’è in ognuno di noi”. Lo stesso succede con Melis Marini: “Parlava della sua terra, di ciò che amava promuovere e proteggere, delle bellezze della mia/nostra città che a volte non siamo in grado di vedere, anestetizzati dalla routine”. C’è anche un luogo fisico, il museo archeologico, che le permette di prendere coscienza di quanto sia ricco il patrimonio della Sardegna. 

Mara crea e affina nel tempo il suo linguaggio: “La sintesi dei colori e delle forme, tutto deve essere molto pulito, semplice, immediato, fresco, per raccontare qualsiasi cosa, comprese le emozioni. Lo stile stilizzato o semplificato da forme semplici si presenta stranamente anch’esso come un puzzle perché può essere scomposto, ogni pezzo deve potersi staccare e vivere da solo”. Un linguaggio che si manifesta nei primi progetti locali, con gli artigiani, in cui vuole trasformare “un’idea in narrazione materiale”. Tra le collaborazioni ci sono la Filatex Ricami, AVMetal e Kernos Ceramiche.

Poi c’è anche un progetto personale, le Rejanas, ancora in fase di sviluppo, in cui studia gli abiti tradizionali di ogni comune e trova una sintesi. Pubblica un libro, “Carrasecare Design”, con Arkadia, con il design di 24 carnevali isolani, dimostrando quanto questo patrimonio sia già moderno di per sé, basta raccontarlo con un linguaggio accessibile a tutti.  Analizza ogni maschera, la rappresenta come se fossero burattini, e una volta mostrata, la scompone in pezzi per creare giochi di composizioni grafiche. Un evento importante dal punto di vista identitario può diventare comprensibile anche per i turisti: “La semplicità nasce dalla complessità, e alla fine il carnevale parla della ciclicità delle stagioni, della vita, della morte e della rinascita”. 

Il territorio scatena scintille: collabora con il Comune di Arzana con un progetto identitario, c’è Sas Istajones per Joias Tortolì, per gli eventi delle stagioni in Sardegna, ogni narrazione grafica si trasforma in foulards; il Brand del Cammino di Sant’Efisio per la Città Metropolitana di Cagliari, quello Cammino di Santa Barbara; i Candelabri Mulleri&Madiru in ceramica su commissione ad Augusto Mola con il supporto di Mirion.net. Mara non si ferma: c’è anche Ikea, progetto nato con l’obiettivo aziendale di parlare della circolarità degli oggetti. Stampe che si alternano, sempre parlando del patrimonio isolano, anche nel punto vendita della multinazionale.

Il linguaggio attraverso la forma è un modo con cui  vuole trasmettere il patrimonio locale. Il processo arriva da lontano: lo studio della terra, delle sue bellezze, da un paesaggio aa un sito archeologico aa una poesia fino a una processione religiosa, un comune, un abito, il pane, i gioielli tradizionali con le loro simbologie: “Posso appropriarmi di un argomento, farlo mio e poi restituirlo rinnovato per valorizzare ancora di più l’originale”.

C’è anche una volontà educativa, quella di “aiutare la gente a cambiare il punto di vista. Se decontestualizzi un argomento con un linguaggio nuovo o diverso da quello quotidiano, attiri l’attenzione e stimoli la consapevolezza ”. C’è la dura scuola Disney a permettere che “i tasselli si uniscano e raccontino una storia”. Mara punta a concentrare l’attenzione su dettagli dell’archeologia romanica, l’archeologia nuragica, i bronzetti che hanno già una sintesi perfetta, simboli presenti negli intagli lignei, nei tappeti. 

“Lo sguardo che uso nelle Rejnas è l’espressione a T della Dea Madre del Neolitico. La scelta di questa espressione mi ha permesso di risolvere il problema dell’espressione degli occhi e del naso, inoltre mi ha permesso di essere riconoscibile”. Ecco, trovare quella chiave di lettura che permette di distinguersi nel mare magnum delle produzioni. 

Ma quali sono i segreti dell’artista e il suo processo creativo? : “Piango, mi isolo, urlo, poi scrivo. Solitamente mi dura uno o tre giorni. Quando creo, ho una visione che progetto, quindi ha un inizio e una fine. Se non finisce, non dipende da me. Il problema è la mia scelta di vivere totalmente di creatività, gli alti e bassi umorali non sono facili, ma aiutano a motivare e costruire il percorso che mi porta avanti passo dopo passo”.

Il futuro è già presente. Un’idea è raccontare i quartieri di Cagliari, ma in generale continuare a osservare, innamorarsi dei luoghi e delle storie, immaginare mille declinazioni: “Vorrei generare un Brand riconoscibile come quello che Gaudì donò a Barcellona. È un’ambizione troppo grande, ma siamo liberi di sognare, giusto? Ed i sogni aiutano la creatività ad andare avanti”. Mara vuole lasciare traccia: “Un piccolo segno che faccia capire che si può lavorare nel proprio territorio investendo su di esso, senza inventarsi nulla. Tutto quello che ci circonda è stimolo puro, a portata di mano. Ma la cosa incredibile è che ognuno di noi ha il suo unico linguaggio per reinterpretarli”.

Ai giovani dice che lo “studio e l’esperienza, anche fuori dall’isola, sono importantissimi, ma poi arriverà un momento in cui l’identità e la ricerca di quel senso di appartenenza a una cultura riaffioreranno. Ed è lì che bisogna mettere insieme le esperienze ed usarle con consapevolezza per portare a casa qualcosa di unico”.

Ci vuole coraggio per tornare e restare, rammenta Mara, e quando questo accade si deve agire: “Collaborare, senza paura e poi tornate per portare unicità e far evolvere un’isola così amabile e difficile al tempo stesso. Le persone la rendono difficile, perciò i giovani sono il nostro piano evolutivo positivo”.

Nicola Montisci

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