“La prigione è anzitutto una pena corporale, non è un semplice divieto posto alla libertà di circolare, come si è provato a dimostrare fin qui”. Inizia così il post sui social del medico di terapia del dolore, Tomaso Cocco, travolto dall’inchiesta Monte Nuovo negli scorsi mesi e finito dietro le sbarre prima a Uta poi a Palermo, in un carcere dove sono detenuti alcuni dei più pericolosi esponenti di Cosa Nostra.

Cocco è stato di recente scarcerato ed è tornato per la prima volta a parlare pubblicamente. “Posso dire però che la reclusione è organizzata come se volesse farci dimenticare che abbiamo un corpo. Il corpo reso muto è un corpo da dimenticare. Il corpo ignorato smette però di reagire come un animale domestico” prosegue il post.

“E l’animale in gabbia rivela, anche se sembrava domestico, caratteristiche fino ad allora poco conosciute. La prima scoperta da farsi è che il corpo ignorato non produce vuoto ma dolore: dolore fisico. Il dolore è una reazione all’ignoranza del corpo, serve a ricordarci che siamo un corpo. È l’aspetto assunto dal senso della realtà, criterio di verità che prova ad ancorare la mente al mondo, dicendoci che ne siamo parte. È la parola dei muti ai quali non è consentito il gesto”.

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