Appena nominato Papa Francesco, il Vaticano era in procinto di diventare partner in un progetto per estrazioni petrolifere in Angola. È quanto emerso ieri durante la 17esima udienza del processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato che vede tra gli imputati il cardinale Angelo Becciu. 

L’investimento, su cui fu condotta una “due diligence” durata un anno e mezzo,  però non arrivò al dunque perché a livello bancario non ci furono sufficienti garanzie per chiudere l’accordo.

La prima parte dell’interrogatorio ha visto protagonista Fabrizio Tirabassi, ex funzionario dell’Ufficio amministrativo, che ha ricordato che si iniziò a parlare del progetto, chiamato “Falcon Oil”, tra la fine del 2012 e l’inizio del 2013, quando l’allora sostituto per gli Affari generali Angelo Becciu disse a monsignor Alberto Perlasca, responsabile dell’Ufficio amministrativo, di valutare la proposta dell’imprenditore angolano Antonio Mosquito. Quest’ultimo era stato definito dal cardinale sardo, già nunzio per otto anni in Angola, come un “benefattore della Nunziatura”.

Una volta accolto in Segreteria di Stato, l’imprenditore aveva proposto al Vaticano –  e in particolare al segretario di Stato Tarcisio Bertone – di prendere in considerazione un investimento nel settore petrolifero nel suo Paese. L’accordo prevedeva che la Santa Sede avrebbe dovuto acquisire il 5% della società che si sarebbe occupata delle estrazioni.

Così entra in gioco, come advisor per l’investimento, il finanziere Raffaele Mincione, coinvolto successivamente nell’acquisto del palazzo di Sloane Avenue 60 a Londra, e imputato nel processo. Per le spese necessarie furono anticipati 500mila dollari, di cui metà chiesti a Mosquito, ma la somma complessiva si sarebbe dovuta aggirare attorno ai 250milioni di euro. Dopo un anno, però, nel rendiconto finale, Mincione spiegò che l’accordo non s’era da fare per la mancanza di sufficienti garanzie. Ma non solo: quel che preoccupata il Vaticano era che c’erano anche “implicazioni di carattere geopolitico”, come ha spiegato Tirabassi, per cui la banca Ubs “non ritenne di esporsi e rifiutò di mettere a disposizione il suo finanziamento”. A chiudere definitivamente fu il nuovo segretario di Stato Pietro Parolin. “Se ci fossero state garanzie – ha aggiunto Tirabassi – il progetto sarebbe stato portato alla firma del Papa”.

Di più, con l’autorizzazione di Becciu si erano anche poste le basi per il veicolo finanziario dell’investimento, e cioè un nuovo fondo in Lussemburgo, l’Athena Commodities Fund, proposto da Mincione. Una volta chiuso l’affaire in Angola, divenne l’Athena Capital Fund attraverso cui la Santa Sede acquisì il palazzo londinese di Sloane Avenue.

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