Nelle ultime 48 ore in Sardegna si sono verificati due casi di femminicidio – uno tentato ma non riuscito – perpetuati nei confronti di due donne. Il primo risale all’8 settembre scorso: a Sennori, in provincia di Sassari, una donna di 48 anni, Piera Serusi, è stata gravemente ferita da due colpi d’arma da fuoco dal suo compagno Adriano Piroddu, 42 anni, che si è impiccato successivamente nel suo garage. La donna ha confermato ai carabinieri della compagnia di Porto Torres quanto accaduto: l’uomo l’avrebbe portata in campagna nella sua auto e, in seguito a un litigio, l’avrebbe colpita al collo e al torace. Dopodiché sarebbe tornato in paese, con la donna sanguinante, e si sarebbe tolto la vita.

Nella giornata di ieri, invece, a Quartucciu il femminicidio è riuscito. La vittima è una donna di 60 anni, Angelica Salis, accoltellata ripetutamente dal marito Paolo Randaccio di 67 anni. Anche in questo caso, si suppone che l’efferato gesto sia stato compiuto in seguito ad una lite tra i due.

Purtroppo, però, questi non sono gli unici casi di femminicidio in Sardegna. Negli ultimi anni, infatti, la cronaca locale racconta un perpetuarsi di eventi che mostrano dei dettagli in comune: nella maggior parte dei casi, le donne vengono assalite e uccise dai propri compagni e mariti, uomini con cui condividono la propria quotidianità. Spesso si tratta di situazioni in cui la donna vuole separarsi e chiudere la relazione, in altri casi invece basta semplicemente che la donna “alzi i toni”, com’è successo in questi ultimi due casi, per non meritarsi più la vita.

È soltanto dell’11 maggio scorso la violenta aggressione rivolta a Paola Piras, 51enne di Tortolì, paese in provincia di Nuoro, raggiunta da diciotto coltellate da parte dell’ex compagno Masih Shahid, che voleva vendicarsi del fatto che la donna non avesse più intenzione di proseguire la relazione. Dopo un periodo in coma, si è risvegliata, ma con una tragica notizia: il figlio Mirko Farci, a soli 20 anni, è rimasto ucciso nel tentativo di difendere a tutti i costi la madre.

Il 5 maggio 2020 è la volta di Marisa Pireddu, 51 anni di Serramanna, nel Sud Sardegna, uccisa a coltellate dal marito 57enne, Giovanni Murtas, in seguito a un litigio. Dopodiché, anche in questo caso, l’uomo ha tentato di togliersi la vita.

Qualche mese prima, il 16 febbraio 2020, Zdenka Krejcikova, 41enne di nazionalità ceca, è stata uccisa a coltellate a Ossi, nel Sassarese, dall’ex compagno, che aveva già aggredito in passato la donna e aveva il divieto di avvicinarsi alla vittima. Ma questo non è bastato a fermarlo. Il fatto è accaduto in un bar del paese, a cui hanno assistito anche i figli della donna.

Non c’è stato niente da fare nemmeno per Michela Fiori, strangolata dal marito Marcello Tilloca ad Alghero nel dicembre 2018, in seguito a un diverbio tra i due. L’uomo, dopo il delitto, era andato a prendere i figli di 11 e 13 anni che avevano terminato gli allenamenti di calcio e li aveva portati dalla nonna. Poi si era presentato con il suo avvocato dai carabinieri per costituirsi. Oggi l’uomo, che non si è mai pentito, sconta trent’anni di carcere per omicidio.

Se si va ancora a ritroso, non troppo tempo fa, tra la fine del 2016 e il 2017 nell’Isola ci son stati altri quattro femminicidi. Il 2 marzo a Iglesias Federica Madau a soli 32 anni viene uccisa con dieci coltellate dal marito Gianni Murru, da cui era separata; due mesi esatti dopo, Maria Bonaria Contu, 60 anni, viene pugnalata a Capoterra mentre faceva una passeggiata da Ignazio Frailis, suo vicino di casa con cui aveva un rapporto burrascoso. A giugno, la giovane Erika Preti, in vacanza a San Teodoro con il fidanzato Dimitri Fricano, viene assassinata dallo stesso. A Sassari, il 10 novembre 2016, Anna Doppiu, a 66 anni muore uccisa dal marito Nicola Amadu in modo brutale. Da tempo la coppia, dopo quarant’anni di matrimonio, viveva separata in casa.

Un trend che non coinvolge soltanto la Sardegna, ma tutta Italia, dove soltanto nel 2021, già a febbraio si contavano settanta donne uccise barbaramente dai propri compagni, mariti o ex.

A poco, allora, è servita la Riforma “Codice Rosso” (Legge n.69/2019) entrata in vigore il 9 agosto del 2019, con l’intento di inasprire le pene per i delitti di violenza familiare e di genere. Con la nuova legge, infatti, son stati introdotti i reati di costrizione al matrimonio, il cosiddetto “revenge porn” – e cioè la realizzazione, diffusione e condivisione di video e immagini sessualmente espliciti (punito con reclusione da uno a sei anni e pena pecuniaria da 5mila a 15mila euro) -,  e il delitto di deformazione dell’aspetto mediante lesioni permanenti al viso (punito con la reclusione da 8 a 14 anni). Infine viene introdotto il reato di violazione  del provvedimento di allontanamento dalla casa familiare o di avvicinamento (punito con reclusione da sei mesi a tre anni).

Provvedimenti giusti, senz’altro, che si attendevano da tempo, ma che, com’è evidente, non bastano. Ciò che manca, è un serio cambio di rotta: serve una riforma culturale nel senso più ampio del termine, che insegni agli uomini, giovani e meno giovani, a rispettare i “no” delle donne. Delle madri, delle sorelle, delle amiche, e delle compagne. È un processo lungo, che richiede tempo e perseveranza, poiché deve fare i conti con una ben radicata cultura dell’uomo forte, l’uomo di famiglia, l’uomo a lavoro, l’uomo garante del futuro della donna. Oggi le cose stanno cambiando, ce lo insegna il movimento #MeToo, che è riuscito a far arrestare, con l’accusa di molestie sessuali e stupro, uno degli uomini più importanti di Hollywood. Cosa che prima sarebbe stata impensabile.

Le uccisioni perpetuate nelle ultime 48 ore in Sardegna, però, sono un promemoria per tutti: non è ancora abbastanza.

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