(Foto credit: Pandora Rivista)

Le elezioni Politiche 2022 hanno sancito la vittoria del centrodestra. Ma lo sguardo dei sardi e della Sardegna è rivolto verso le Regionali. Previste per febbraio 2024, ma c’è chi vorrebbe anticiparle all’autunno.

Per comprendere meglio il trend della politica nazionale – che, inevitabilmente, influenza anche quella locale – abbiamo ragionato assieme a Giovanni Diamanti sui movimenti dei partiti e degli elettori nell’ultimo decennio.

Amministratore dell’agenzia Quorum, editorialista de Il Messaggero, esperto in comunicazione politica, Diamanti ha curato negli ultimi anni le strategie di comunicazione per le campagne elettorali di Sala, De Luca, Zingaretti, Nardella, Provenzano, Gualtieri e Tommasi.

Partiamo con una domanda facile: l’Italia è un paese di destra?

Proprio una domanda facile.. (ride). La situazione è un po’ più complessa. L’Italia è sicuramente un paese che non ha mai dato particolari maggioranze a grandi coalizioni o linee progressiste, ma non è un paese di destra. Solitamente ha governato un centro su posizioni mediamente conservatrici, e si sono alternate spesso coalizioni diverse con una leggera prevalenza del centrodestra. Nell’ultimo decennio anzi abbiamo visto una tendenza verso voti post ideologici, che spiegano il risultato trionfale di Renzi nel 2014 col Pd, poi i 5 Stelle, la Lega e Fratelli d’Italia. Ci sono spostamenti rapidi dettati dal fatto che non è più l’ideologia a muoverci. Motivo per cui non esiste più un voto di appartenenza. Motivo per cui è sempre più forte un voto di opinione in cui si sceglie il leader o la battaglia del momento.

Perché il Terzo Polo non riesce ancora a convincere gli elettori, rispetto alle aspettative dei suoi leader?

Perché non è più il tempo dei moderati. Si cerca radicalità, in campagna elettorale vince la mobilitazione sulla persuasione ragionata. Ed evidentemente il Terzo Polo non riesce ad intercettare il voto post ideologico per alcuni problemi a livello di leadership. Quando il Pd ha avuto un momento di difficoltà dopo le elezioni politiche, quello poteva essere il momento di crescita forte. Che non c’è stata. Hanno mancato la grande occasione.

A proposito di radicalità: Rotondi dice che la Meloni incarna la nuova Dc. Sei d’accordo?

La Dc e Fratelli d’Italia in comune hanno ben poco. È una provocazione. Non la vedo come una opzione reale. La Dc non ha veri eredi, l’elettorato si è molto diviso. Era il partito del Paese e dei paesi, nel senso dei campanili. Non c’è nessuno che abbia raccolto quella eredità.

La Schlein invece rappresenta una vera alternativa alla Meloni?

Questo è il suo compito. Penso che il Pd stia vivendo un rimbalzo importante dopo le primarie. Siamo all’inizio, dunque non c’è una alternativa alla Meloni, non c’è una direzione chiara e precisa. Sicuramente ha delle caratteristiche peculiari che le possono permettere di arrivare ad essere una alternativa.

Lavori da anni nella comunicazione politica. Abbiamo visto come, sempre più progressivamente, si stia allargando la schiera di chi non va a votare. Quanto è difficile convincere gli elettori?

È un trend globale. Non colpisce solo l’Italia, l’astensione elevata. È sempre più difficile portare a votare gli elettori, motivo per cui è ancora più importante provarci. Non c’è dubbio. Si è passati dal paradigma della persuasione a quella della mobilitazione.

Hai lavorato alla campagna di Damiano Tommasi a Verona: in quel caso si è visto come la mobilitazione sia stata molto importante e decisiva.. 

Le caratteristiche del candidato permettevano di fare un lavoro di grande entusiasmo e trascinamento in una figura che incarnava una novità vera. È stata una campagna elettorale incentrata su un messaggio di cambiamento e speranza, attorno al quale è stato costruito molto.

In Sardegna ci avviciniamo alle elezioni regionali. Quanto può essere importante per i partiti avere un risultato positivo in Sardegna e quanto influenzerà la presenza di leader nazionali in campagna elettorale? Nel 2019 Salvini fu molto presente, oggi potrebbe essere il caso della Meloni

Le elezioni regionali somigliano un po’ più alle Politiche che alle comunali. Si pongono a metà, quindi i partiti fanno la differenza. Ovviamente la fanno con una strategia chiara, una coalizione forte, che sa da che parte andare. Ecco il centrodestra è sempre stato molto compatto. Invece questo rappresenta il punto di debolezza del Centrosinistra oggi, in ogni elezione regionale. Le regionali premiano coalizioni unite con una strategia chiara. E che non si muovono in maniera spezzettata. Ecco perché il Centrosinistra è stato poco competitivo, e continuerà ad esserlo rispetto al centrodestra se non cambierà strategia.

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