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Domandare ai sardi se si sentono sardi o italiani e anche nelle altre combinazioni è utile ma non corretto.

Bisognerebbe invece chiedere se sono coscienti di essere di nazionalità sarda, quindi diversa dalla nazionalità italiana e temporaneamente incompleti cittadini italiani in quanto ancora sudditi della Repubblica che hanno contribuito a costruire con l’apporto del loro pensiero federalista e tantissimo sangue nei secoli e per ultimo nella Resistenza al nazifascismo e per l’abolizione della Monarchia.

È evidente il mancato rispetto, la non applicazione, il disprezzo coloniale, della Costituzione e del nostro Statuto e dei trattati internazionali nei passaggi a tutela dei diritti civili, politici, economici, culturali del popolo sardo.

Bisognerebbe chiedere anche se preferirebbero rimanere cittadini di serie B dello Stato italiano che nega la loro nazionalità cancellando la lingua sarda e la storia del popolo sardo ovunque e soprattutto nella scuola e attua un colonialismo economico che li soffoca e impoverisce o divenire cittadini di nazionalità sarda dello Stato sardo e contemporaneamente cittadini della Repubblica in un passaggio attuativo federale verso gli Stati Uniti D’Europa, col riconoscimento completo della nostra nazionalità sarda.

Noi sardi non siamo italiani per tante ragioni, culturali, storiche, e soprattutto linguistiche che formano la nostra identità nazionale sarda ma anche geografiche e quindi geopolitiche millenarie in quanto la Sardegna non è Italia e mai lo è stata a meno che un terremoto non accosti l’Ogliastra al Lazio o alla Campania.

Siamo cittadini italiani in quanto ancora dominati, sfruttati e oppressi dallo Stato italiano sempre centralista temporaneamente e sino a quando esprimeremo la nostra volontà di autodecisione nazionale e ci daremo una Costituzione sarda che potrebbe anche essere federalista internamente ed esternamente come pretendevano i Fondatori del PSdAz cento anni fa.

Bisogna chiedere anche perché malgrado l’evidente crescita del sentimento nazionale sardo, malgrado e forse come conseguenza del genocidio linguistico e identitaria sempre più efficace, non aumentino il consenso politico al sardismo al fine di raggiungere quella massa critica di voti e quindi di rappresentanza indispensabile per essere credibili e forti per poter negoziare passi avanti alle nostre principali rivendicazioni con la controparte italiana.

Oltremodo importante è convincere alleati almeno autonomisti ma anche verificando la disponibilità di altre forze indipendentiste per fare fortza paris sulla base minima di credere con noi di operare principalmente per il bene della Natzione sarda pur conservando come è loro diritto altre opzioni senza dover condividere pregiudizialmente quelle sardiste ma su basi rigorosamente programmatiche.

Ovviamente un’ipotesi di questo genere permetterebbe più chiaramente la realizzazione dei programmi comuni consentendo alle forze indipendentiste e federaliste e a quelle autonomiste di spingere di più rispettivamente su obbiettivi rispettivamente nazionalisti sardi di liberazione e viste le comuni aspirazioni europeiste federali senza dissimulate e solipsiste o peggio non violente incrostazioni separatiste e per gli autonomisti su obbiettivi di cittadinanza avanzata liberale e insieme su comuni valori sociali.

Bisogna ricordare a proposito di questo punto che già nel Convegno di ascolto di Villagrande Strisaili ci presentammo aperti senza pregiudiziali di sorta a partiti e forze sociali, apertamente e non in chiuse stanze di conciliaboli per verificare percorsi comuni.

Invitammo anche tutte le sigle indipendentiste di allora arrivando con il loro consenso alla diffusione pubblica di un programma della sessione a loro specificamente dedicata che solo all’ultimissimo momento dovette essere cancellata per loro importanti, inspiegati ripensamenti della parola data a partecipare.

Per noi la via che scegliemmo fu un successo, la loro una sconfitta.

Nell’ultimo nostro Congresso ripetemmo che eravamo sempre con le mani libere e le porte e finestre aperte e lo siamo ancora, con l’avvertimento che la nostra lunga esperienza politica centenaria ci ha insegnato anche a riconoscere i nemici esterni e anche interni da segnali che non sono differenze di giudizio o proposta ma nascondono volontà distruttive o eterodirette al fine di danneggiare o piegare le linee politiche scelte come sempre a maggioranza e democraticamente anche in seguito di dibattiti e confronti a volte durissimi e con esiti a volte divisivi ma anche liberatori.

Siamo però ancora, ma non per molto ancora aperti e coinvolgenti e come va di moda dire adesso inclusivi.

Per quanto riguarda le sigle indipendentiste sono sempre per la mano aperta anche se sono troppi i segnali di antisardismo preconcetto di alcune e di sedicenti elaboratori di pensiero debole il cui unico scopo è avvelenare i pozzi per impedire possibilità di riconoscimenti comuni ed alleanze possibili mi inducono al pessimismo.

Obiettivo dichiarato e onnicomprensivo di motivazioni che è superfluo elencare in secondo mandato presidenziale per Christian Solinas e il protagonismo del natzionalismo sardo indipendentista e federalista e autonomista avanzato alleati.

A questo punto però la domanda va girata a noi sardisti in quanto sta a noi offrire una proposta, una testimonianza e un’azione di partito e di governo alle quali i sardi possano riconoscersi, aderire, portare nuove idee, e trovare fiducia in un futuro credibile e non camuffato con fumisterie ed ambiguità ideologistiche che male mascherano difetti, errori, inaffidabilità nella prassi e soprattutto una linea politica da verificare e rinnovare non tanto strategicamente ma soprattutto a breve e medio termine a partire dal prossimo Congresso natzionale. Quando ciò è avvenuto nel passato si è sempre verificato un impulso alla crescita del sardismo, del Partito e del numero di votanti e della rappresentanza nelle Assemblee legislative e locali.

Ci vorrà tempo? Il tempo non ci manca, ci manca la libertà che dipende principalmente da noi.

Mario Carboni

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