In Sardegna crollano le nascite. Non è una novità, ma l’ultima analisi Istat Indicatori demografici 2020 registra numeri che fanno rabbrividire riguardo il futuro della nostra regione. Al primo gennaio 2021, infatti, l’Isola è terzultima in tutta Italia con 0,95 figli per donna (-6,9% sul 2019), dietro soltanto al Molise (-11,2%) e la Valle d’Aosta (-7,8%).

In particolare, la Sardegna registra un quoziente di natalità di 5,1 nati per mille abitanti contro una media nazionale del 6,8. I “nuovi arrivati” nell’Isola sono così suddivisi per province: Sassari registra il 5,4 delle nascite, segue Nuoro con il 5,3, Cagliari il 5,1, il Sud Sardegna arriva al 5, mentre Oristano è quella che segna il numero minore con 4,6.

Un trend che coinvolge tutto lo Stivale, dove nello stesso periodo si registra un minimo di 7 nascite per mille abitanti e 1,24 figli per donna contro l’1,40 del 2008. Per dirla tutta, l’Italia negli ultimi dodici anni è passata da 577mila nati a 404mila con una decrescita del 30%.

Un fenomeno che dovrebbe mettere in allarme le nostre istituzioni, ma che nei fatti non sembra aver scalfito minimamente le politiche governative a sostegno delle madri e più in generale delle famiglie che intendono avere figli. Si è fatto il minimo indispensabile per invertire la rotta. Nella Legge di Bilancio 2021, infatti, i giorni obbligatori di congedo di paternità salgono a 10 con una retribuzione al 100% oltre al congedo parentale, e cioè: 10 mesi fruibili da entrambi i genitori nei primi 12 anni di vita dei figli. E fin qui sembrerebbe tutto bene, se non fosse che, come precisa Altreconomia, in quest’ultimo caso ai genitori verrebbe garantito appena il 30% della propria retribuzione. Una misura, quindi, che sconfessa l’intento iniziale e al contrario disincentiva l’uso di questo congedo.

Se ci affacciamo al resto d’Europa, le cose sono ben diverse. Nella vicina Spagna, ad esempio, dal primo gennaio 2021 il congedo di paternità è stato equiparato a quello della madre, quindi entrambi i genitori hanno diritto a 16 settimane di congedo retribuite al 100%, di cui le prime sei sono obbligatorie per entrambi. Una decisione che segue la linea di altri paesi europei, come i Paesi Bassi, dove il congedo di paternità arriva a otto settimane, la Germania in cui i dodici mesi di congedo possono essere presi sia dalla donna che dall’uomo, oppure la Svezia, che è un’eccellenza in quest’ambito. Nel paese scandinavo, infatti, entrambi i genitori hanno accesso a 16 mesi di congedo parentale retribuito all’80% per i primi 390 giorni e 22 dollari al giorno per i restanti. Il congedo può essere conservato fino a quando il bambino avrà compiuto 8 anni. Fino a quel giorno, i genitori potranno inoltre lavorare 32 ore a settimana anziché 40. Non mancano poi gli incentivi a sostegno dell’infanzia, che garantiscono 130 dollari al mese per ogni minore di 16 anni e un bonus per ogni figlio in più. In sintesi: una famiglia svedese con cinque figli, riceverà 650 dollari al mese più un bonus di 350 dollari, per una spesa complessiva di 350 dollari mensili.

In Italia, poi, servirebbe riequilibrare i carichi lavorativi ed equiparare le opportunità tra uomini e donne. Basti pensare che nel Bel Paese l’occupazione femminile raggiunge il 53,2% contro una media europea del 66,6%. Secondo gli ultimi dati dell’Ispettorato del lavoro, inoltre, nel 2020 ci sono state 42mila dimissioni consensuali di genitori con figli da 0 a 3 anni, di cui il 77% erano madri. E se per gli uomini le motivazioni delle dimissioni son state prevalentemente il cambio di lavoro, per tre donne su quattro, la causa è stata la difficoltà di conciliare vita lavorativa e cure dei figli.

C’è chi vorrebbe giustificare la drastica diminuzione delle nascite in Italia con l’aumento degli aborti, ma i dati dicono esattamente il contrario. Secondo Eurostat, infatti, rispetto a tutti gli Stati membri, i tassi di natalità netti più alti del 2019 sono stati registrati in Irlanda (12,10 per mille residenti), Francia (11,20‰) Svezia (11,10‰) e Regno Unito (10,70‰). Al contrario i più bassi si registrano negli Stati membri del Sud, tra cui Italia (7,30‰), Spagna (7,60‰) e Grecia (7,80‰). Analogamente, nello stesso anno il maggior tasso di abortività ogni mille donne in età fertile (15-44 anni) si è registrato in Svezia (19‰), Regno Unito (18‰), Francia (15,7‰), mentre i più bassi in Spagna (11,53‰), Grecia (9,7‰) e Italia (6‰), tra gli altri.

Ma se proprio si vuol trattare del tema aborto, sono ben altri i dati che meriterebbero particolare attenzione. Nel nostro Paese, infatti, quasi la metà delle donne (48,6%) che hanno scelto l’interruzione volontaria di gravidanza risultava occupata, oltre la metà (61,3%) erano nubili contro il 32,4% delle coniugate e il 45,3% non aveva figli. Dati che evidenziano quanto lavoro ci sia ancora da fare, oltre le promesse fatte en volant.

Non è un caso che negli ultimi anni, sono aumentate in modo esponenziale le donne che sostengono di non voler avere figli. Si fanno chiamare “child-free” (dall’inglese “senza figli”), che rivendicano la libertà di non seguire la figura tradizionalmente assegnata alle donne di mogli e madri. Non ha niente a che vedere con le opportunità di carriera o lavorative in generale – o almeno non in toto -, si tratta di un fenomeno che vuole infrangere il tabù ancora ben radicato nella nostra società. Soltanto su TikTok, il social più amato dalle nuove generazioni, l’hashtag #childfree ha raggiunto ben 162 milioni di visualizzazioni. Sintomo che il tema è largamente sentito dalle donne più giovani da ogni dove. Le stesse che decideranno quale futuro dare al nostro Paese.

Leggi le altre notizie su www.cagliaripad.it