Da vent’anni lavora nel mondo dell’arte. Le sue opere sono firmate Jorghe, ma in Sardegna tutti lo conoscono come Giorgio Casu. Artista poliedrico originario di San Gavino, ha iniziato a dipingere per passione poi è partito in Inghilterra, e da qui verso gli Stati Uniti, Australia, Sud Est asiatico e Messico. Un’esperienza personale e professionale che gli ha permesso di specializzarsi e sperimentare, diventando uno degli artisti contemporanei più conosciuti in tutto il mondo.

“Non ho fatto muralismo fino al 2010. Il primo è stato in Australia, dove ho dipinto un fish and chips. Poi è diventata la mia attività fondamentale”, racconta durante l’incontro “Muros de arte”, tenutosi nella serata di martedì 6 dicembre alla Manifattura Tabacchi di Cagliari e promosso dalla cooperativa sociale Alea, con il contributo dell’assessorato del Turismo della Regione Sardegna. I partner del progetto sono l’associazione Skizzo, la casa editrice Arkadia e la Fondazione Pinuccio Sciola.

“Ho cercato di sradicare questa sardità che ci permea. Un peccato originale. Ma ne avevo bisogno. Se poi ci sono dei tratti che riprendono questa sardità è una cosa istintiva che mi porto dietro in tante opere” spiega l’artista contemporaneo, in riferimento alle centinaia di murales disseminati in tutta l’Isola che rientrano nel filone cosiddetto “classico”, in cui sono ritratte scene di vita quotidiana di una Sardegna ormai passata, fatta di carri e buoi, donne in abiti tradizionali e tanta campagna. Ma guai a far coincidere questa tipologia di murales con il primo diffusosi nell’Isola. “La Sardegna ospita artisti internazionali dagli anni Ottanta, quando col muralismo è nata una sperimentazione all’aria aperta. Pinuccio Sciola l’ha fatto fin dall’inizio a San Sperate”, dice Casu, che cita anche Orgosolo tra i luoghi in cui questa forma d’arte si è sviluppata in un modo del tutto particolare, come si può ammirare nelle opere di Del Casino e in quella grafia bambinesca che urla messaggi violenti e di protesta contro quel che accadeva nel resto del mondo.

Oggi Giorgio Casu lavora stabilmente in Sardegna e, dopo aver lasciato le redini della direzione artistica del progetto “Non solo murales a San Gavino”, si occupa del progetto artistico “I custodi della bellezza” a Sant’Antioco, per cui ha realizzato anche l’installazione delle “Vele” sul lungomare. Un altro tassello che si aggiunge al suo impegno per la riqualificazione urbana e territoriale attraverso l’arte.

Hai lavorato a New York per tanti anni. Com’è tornare in Sardegna? Quali sono gli ultimi lavori che hai realizzato qui?

Sì ho lavorato negli Stati Uniti per undici anni, nel frattempo ho continuato a viaggiare anche in Sardegna, dove ho iniziato un progetto artistico a San Gavino, nel 2013, e a Sant’Antioco, nel 2017. Durante questo periodo venivo qua per l’estate, cercavo sempre il sole e il bel tempo. Nel 2018 sono tornato qui, a giugno, avevo bisogno di rilassarmi, poi ho conosciuto la mia attuale compagna, quindi ho deciso che di New York non mi importava più niente perché avevo fatto abbastanza di quello che volevo fare. Era arrivato il momento di godermi la tranquillità anche per la mia produzione artistica. A New York era difficile dedicare tempo a dei progetti che volevo realizzare.

A proposito di questo, in quali elementi trovi più ispirazione in Sardegna?

La Sardegna è perfetta per le produzioni artistiche perché è un’isola, quindi ti senti isolato e protetto. E poi c’è molto silenzio, che aumenta ancora di più questo senso del non essere ascoltato o di voler urlare quello che c’è da dire. Energeticamente non è come New York o altri posti del mondo, dove si sente un’energia frenetica che ti spinge a spremerti, a creare, però il fatto che ci sia tantissima calma e silenzio ti porta a creare altre cose. C’è un altro tipo di energia, che ti permette di trovare un po’ più di tempo ad ascoltare quello che stai facendo rispetto ad altri posti dove invece fai le cose di getto.

Oggi si parla di muralismo in Sardegna. Secondo te è possibile definire stili e caratteri in base alle diverse aree geografiche?

No, quelli che hanno fatto la storia del muralismo sardo, a San Sperate, Orgosolo, poi sono andati a Sassari, hanno girato tanto. C’è uno stile sì, penso a quello di Orgosolo in artisti come Teresa Podda e il maestro Del Casino, che sono identificativi, però cercare uno stile in mezzo a talmente tanti artisti è un po’ una forzatura.

La diatriba sul muralismo riguarda chi vorrebbe superare quel filone legato alle scene di vita del paese per portare qualcosa di più contemporaneo. Tu come la vedi?

Io faccio tantissime forme d’arte e ho tantissimo rispetto e ammirazione per chi fa il muralismo chiamato da me “storico”, quello tradizionale, della vita contadina. Sono due tipi di pitture e di storie diverse: per quella storica il pittore va a dipingere spezzoni di vita vissuta del passato, o del semi presente, e deve essere rispettata e mantenuta, come quelli che sta affrontando ora Mauro Patta con una ricerca più etnografica, del folklore tipico sardo. È una tipologia che a livello artistico e culturale, storico e anche turistico, ha senso che esista e deve essere valorizzato in certi punti. D’altra parte poi c’è il presente e la contemporaneità, perché ricordo che la Sardegna non si trova solo all’interno dei confini isolani, ma si trova in un mondo contemporaneo, appunto, ed è giusto che ci siano anche delle opere che non c’entrano nulla con il filone più tradizionale e non vogliono attingere nulla dai caratteri tipici sardi.

Hai realizzato anche il ritratto di Barack Obama. Com’è nata quest’opera? Ci racconti un aneddoto di questa esperienza?

Sì mi trovavo a New York, era il 2007, durante la campagna elettorale dove partecipava Barack Obama, che noi appoggiavamo alla grande. Ci chiesero di fare delle pitture su alcuni personaggi che giravano in città al tempo e io scelsi lui, che poi era stato eletto nel novembre. Avevo fatto una grande festa. Poi per una mostra al centro di Manhattan mi chiesero di fare il suo ritratto con uno stile che utilizzavo anche per altre mie opere. Più avanti questo ritratto è stato visto da una curatrice che stava organizzando una mostra alla Casa Bianca e mi chiese di poterlo mostrare nel maggio 2010 per un evento per Haiti.

Finiamo sul locale. Sei stato fino a poco tempo fa direttore artistico del progetto “Non solo murales” di San Gavino. Come hai visto crescere artisticamente il tuo paese d’origine e cosa c’è ancora da fare? 

Nei sette in cui ho lavorato come direttore artistico ho scelto di dare un’impronta più contemporanea perché San Gavino urbanisticamente si presta di più. Abbiamo dato voce ad artisti internazionali che venivano da fuori e facevano vedere le novità dell’arte contemporanea in Sardegna.

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