(Foto credit: Teatro Massimo di Cagliari)

“Questo spettacolo ci ha regalato gioie che non ci saremmo mai aspettati, qualche piccolo dolore di quelli che aiutano a crescere, e la possibilità di tornare in scena insieme, da soli, come non ci capitava da anni”. Così l’attore milanese, Paolo Mazzarelli commenta sui suoi social l’ultima data al Teatro Massimo di Cagliari della tournée “Brevi interviste con uomini schifosi”, organizzata da Cedac, tratta dall’omonima raccolta di racconti di David Foster Wallace e diretta dall’argentino Daniel Veronese.

Insieme al collega Lino Musella, lo stesso con il quale ha fondato nel 2009 la compagnia teatrale che porta i loro nomi, ha interpretato alcuni dei racconti dell’opera firmata dal romanziere statunitense, tra personaggi viziati, cinici, miserabili, e allo stesso tempo buffi, inadeguati e imperfetti.

Un’interpretazione che ha confermato tutta la professionalità di Mazzarelli, vincitore di importanti premi teatrali – Inbox, Scenario e Franco Enriquez, tra gli altri – nonché attore in film di altissima qualità come “Noi credevamo” di Mario Martone, “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino e “Vallanzasca” di Michele Placido. Tutte storie che, in un modo o nell’altro, raccontano i chiaroscuri del Bel Paese.

Ma il grande amore dell’attore milanese è senza dubbio il teatro, che ha scelto a soli ventiquattro anni prendendosi il diploma alla Scuola Paolo Grassi, per poi salire sul palco diretto da registi come Eimuntas Nekrosius, Peter Stein, Robert Carsen e Roberto Andò.

Al Teatro Massimo di Cagliari hai interpretato alcuni degli “uomini schifosi” di David Foster Wallace. Per te che sei nato a teatro, com’è stato trasporre la scrittura di quest’opera sul palcoscenico?

Sì la regia e drammaturgia dello spettacolo sono di Daniel Veronese che è un grande regista teatrale argentino, quindi diciamo che ci sono stati vari passaggi sulla lingua di Wallace, che è una lingua meravigliosa per un attore da poter maneggiare, da poter frequentare perché è una lingua molto profonda, molto ironica, è molto bella da dire. È sicuramente una di quelle occasioni in cui poter immergersi da attore nella materia proprio letteraria, dentro la quale ci si confronta. È una materia molto ricca, molto stimolante, nella quale convivono una profonda ironia e una grande spietatezza.

L’opera di Wallace è tutta incentrata sulla tragicità, a volte buffa, dell’uomo borghese contemporaneo. Qual è l’aspetto che ti coinvolge maggiormente di questi racconti?

Questi racconti mettono in particolare a fuoco quelle che sono alcune delle “schifosità” del maschio contemporaneo. Essendo stato il genio che è stato, Wallace non si è soffermato a mettere in scena degli omicidi o degli uomini di una violenza talmente sfacciata che è facile identificarli come dei mostri, quindi in quanto tali anche lontani. Si è concentrato invece su delle violenze molto più sottili, molto più vicine a quelle che possono essere le violenze di tanti uomini o tanti esseri umani del contemporaneo, come le manipolazioni psicologiche, le violenze psicologiche, gli atti di vanità, di meschinità, di menzogna, che sono dei comportamenti molto meno lontani da tanti di noi. Mi piacerebbe credere che è questo il motivo per cui lo spettacolo funziona tanto, perché ci si riconosce sia negli uomini che nelle donne che il pubblico vede in scena. Sono le nostre vite di tutti i giorni, cose che accadono spesso e volentieri.

Oltre al teatro hai lavorato per il cinema con autori come Michele Placido nel film “Vallanzasca”. Cos’ha significato per te, da milanese, far parte del racconto di uno dei criminali che hanno segnato la storia del nostro Paese?

Sì posso dire che il racconto del lato ombroso della realtà è uno dei compiti del cinema, quindi è stato sicuramente interessante raccontare la vita di un criminale, un bandito, di cui non per forza si esaltano le gesta ma poi il pubblico è libero di darne il giudizio che vuole. Mi sembra che in quel caso si sia trattato l’argomento in modo spettacolare, ma molto onesto: ne veniva fuori proprio un criminale, un bandito, però con tutto il fascino che a volte i banditi hanno e che sarebbe anche stupido negare. Era un dato di fatto che lui ricevesse centinaia di lettere di ammiratrici in carcere tutti i giorni.

Tra le altre storie tutte italiane c’è sicuramente la serie tv “1994” dove ha interpretato il leader leghista Umberto Bossi. Come è stato immergersi in quegli anni e cosa è rimasto di quell’Italia a tuo avviso?

L’esperienza di “1994” è stata molto bella, molto fortunata e molto piacevole per molti motivi. Intanto si trattava di un prodotto di estrema qualità, scritto molto bene e con un grande regista. Poi se ci aggiungi che lo abbiamo girato in Costa Smeralda verso settembre… eravamo come in paradiso! È stata una possibilità per me molto ricca e molto affascinante quella di interpretare un ruolo che, nel bene o nel male, ha segnato un momento cruciale della storia italiana. È stata una sfida da attore molto divertente e molto stimolante anche per il personaggio, che è senza dubbio iconico, uno di quei personaggi che basta che tu metti un paio di occhiali e la canottiera bianca ed è fatta. È stato un gioco molto divertente ma allo stesso tempo molto rischioso, però insomma è stata una grande fortuna.

Di recente ci son state diverse polemiche da parte del mondo del cinema rispetto alla proiezione dei film sulle piattaforme in streaming in contemporanea con quella in sala. Come la vedi?

Ma io non la vedo come il demonio come la vedono altri, anzi. Credo che per quanto possa essere doloroso e poco romantico, lo svuotamento delle sale cinematografiche sia ineluttabile e inevitabile ormai, mentre per fortuna i teatri sono sempre più pieni, almeno negli ultimi due anni per quanto riguarda la mia esperienza. C’è tanta voglia di teatro e più si va avanti più si ha voglia di teatro. Credo invece che la sala cinematografica è destinata sostanzialmente scomparire, ma non lo trovo neanche così tragico nel senso che tanto a casa ormai ci sono dei televisori talmente grossi, talmente belli, con degli audio talmente ben fatti, con anche i sottotitoli per guardare i film in lingua originale, che si preferisce quella modalità lì.

È stata un po’ una rivoluzione anche per voi attori.

Sì be sicuramente con queste nuove piattaforme è più facile andare nelle case di tante persone e magari arrivare anche in tutto il mondo. E la distribuzione di un film in tutto il mondo è quasi impensabile. Per esempio in questi giorni in streaming c’è questo film, “Era l’ora”, che è diventato un successo mondiale. Difficilmente sarebbe stato possibile prima. È una bella soddisfazione per tutti, attori compresi.

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