(Foto credit: Lorenzo Pregliasco)

Il nome di Lorenzo Pregliasco è tra i più significativi nell’informazione nazionale. Attento analista, ha raccontato sia la storia politica dell’Italia che le attuali vicissitudini attraverso svariati articoli giornalistici e podcast di successo: “Qui si fa l’Italia” e “Flipper“.

Co-fondatore e partner dell’agenzia Quorum e direttore di YouTrend, da anni frequenta la Sardegna grazie ad uno stretto legame familiare. Nei giorni scorsi è stato protagonista a Carloforte di un festival in cui si è discusso dei mutamenti della società italiana, dei social e della politica.

È stata l’occasione per approfondire, ai nostri microfoni, i temi succitati. Analizzando com’è cambiata la società italiana in questi ultimi anni e provando a dare uno spaccato del momento storico attuale.

Qual è il suo rapporto con la Sardegna?

Ho una connessione molto stretta, familiare. Soprattutto con Carloforte. Cinquant’anni fa esatti, i miei nonni scoprirono quest’isola e decisero di prendere una casetta, che è poi stata la casa di due generazioni successive. Da molti anni vengo qua tutte le estati, più volte ogni estate. E al di là di Carloforte sono stato in Sardegna molte volte. Cagliari è una città che mi piace molto, sono stato anche al nord Sardegna. Amo molto questa regione. È il posto più bello d’Italia dal punto di vista naturalistico, del mare. Per me non ci sono confronti.

Casualmente, di recente, un sondaggio YouTrend ha decretato la Sardegna come la regione col mare più bello.

Non l’ho manipolato.. (ride). Quel sondaggio mi ha visto molto concorde. Nella percezione degli italiani, la Sardegna è la regione con il mare più bello d’Italia. Lo confermo.

Nel festival Asterischi, assieme a Mario Calabresi, avete provato a ragionare su cosa stia accadendo ai social nel rapporto con la società. Ecco, cosa succede? 

C’è un caso eclatante che è quello di Twitter. Col cambio di proprietà sta vedendo una mutazione anche nella sua azione “politica”. Con Elon Musk, il social si è spostato su sentieri che lui direbbe di “maggiore garanzia della libertà d’espressione”. Che però molti vedono come una maggiore apertura verso abusi e disinformazione. Molte aziende che facevano pubblicità sul social, con questo nuovo corso, si stanno ritirando. Twitter quindi è un caso interessante, anche perché è sempre stata la vetrina del dibattito pubblico. D’altra parte però l’informazione si sta spostando anche altrove. Tik Tok anche in Italia è diventato molto importante nel dibattito pubblico. In America c’è una maggiore attenzione per capire come vengono gestiti i dati, che legami può avere con il potere politico cinese. Sembra un social frivolo ma contiene tante elementi di interesse. Poi Meta: dopo la scommessa col Metaverso, ora sembra aver cambiato le proprie priorità. Confermandosi una piattaforma molto rilevante sia per la politica che per l’informazione. Qualunque giornale deve un pezzo importante del proprio traffico e della notorietà a Facebook e Instagram.

Il suo nome è legato a diversi podcast di successo. Come mai in Italia si sta vivendo questa epoca d’oro?

La testimonianza di Chora Media ti dice che il pubblico ha voglia di prodotti di qualità, di approfondimento, in formato audio. I podcast devono una buona parte del proprio successo a due fattori: l’audio ti consente di ascoltare qualcosa anche facendo altre cose. Guidando, correndo, cucinando, sistemando in casa. L’altro elemento è che l’audio più del video e del testo scritto aiuta una intimità comune tra il pubblico e la voce che racconta. Questi due fattori sono al centro del ruolo che stanno assumendo i podcast e anche in Italia sono diventati un pezzo rilevante dell’approfondimento. Si pensi al mondo del true crime, della storia, degli esteri. L’aspettativa è che questo successo si consolidi. Ma se pensiamo a cos’erano quattro anni fa e cosa sono oggi, oltre i numeri c’è una grande crescita. Chora, Il Post, Spotify hanno investito nel tempo per avere podcast originali e di qualità.

Nei suoi podcast ha raccontato la politica italiana. Dopo un anno come appare il governo Meloni? 

Non si può definire in modo netto. Sotto questo apparente movimento dell’ultimo anno, in realtà si nasconde una certa stabilità. Se andiamo a vedere al di là delle schermaglie di giornata, sostanzialmente il quadro è lo stesso di un anno fa. Se non fosse per la morte di Berlusconi, il panorama sarebbe anzi ancora più simile a 12 mesi fa. Quello è l’unico fattore rilevante che avrebbe potuto o potrebbe cambiare lo scenario politico. Nonostante ci sia stato un cambio di segreteria nel Pd e diversi appuntamenti elettorali nel mezzo, di fatto il governo ha gli stessi livelli di consenso di inizio legislatura. Non è un governo che ha dato segni di instabilità. E direi che fino alle elezioni europee, dunque a quasi due anni dal suo insediamento, non avremo segnali molto diversi.

L’Italia è un paese di destra? 

Difficile dire se un paese è di destra o di sinistra quando 4 persone su 10 non votano. Già questo fa riflettere. Penso però che alle elezioni politiche degli ultimi 30 anni la destra abbia mostrato di avere un maggiore abilità strutturale. Dal 1994 in poi, il centrodestra è stato maggioranza. Quando non ha vinto, come nel 1996, è perché era diviso. Nel 2006 e nel 2013 c’è stato un pareggio. Alle politiche, dunque, il centrodestra tende avere un vantaggio strutturale. Non significa però che l’Italia sia etichettabile come di destra, anche perché poi le elezioni locali danno spesso segnali molto diversi. Certo, con questo sistema elettorale il centrodestra alle politiche parte decisamente avvantaggiato finché non ci sarà un campo alternativo davvero competitivo dall’altra parte.

Com’è cambiata, invece, la società negli ultimi anni?

Un elemento è stata la scommessa sull’anti-politica, anche se ha avuto i suoi limiti. Diciamo che si parla di un voto di protesta, che ha premiato poi il Movimento 5 Stelle in un momento sociale in cui era rilevante la sfiducia verso le istituzioni. Un altro elemento è legato all’astensione. È come se negli ultimi dieci anni avessimo visto un passaggio dal voto di protesta ad una rinuncia ulteriore all’intenzione di partecipare al gioco politico. C’è piuttosto un certo attivismo su questioni molto singole, molto più rapide. C’entra molto anche l’influenza dei social. Fuori dalla politica invece c’è un macro-contesto del post crisi 2011. Molti dicono che l’Italia non sia mai uscita da quella crisi. Da quella insicurezza sociale che trovi nelle generazioni giovani, non solo nei diciottenni ma anche nei quarantenni. Oggi abbiamo la percezione che le attuali generazioni facciano molta più fatica delle generazioni analoghe degli anni 80/90 a costruirsi un futuro, comprarsi una casa, metter su famiglia. Certo, accanto al permanere di istanze conservatrici, c’è però un cambio molto forte nella conversazione pubblica sull’ambiente e sui diritti civili.

Leggi le altre notizie su www.cagliaripad.it