“Prima di darmi la prima pillola per interrompere la gravidanza, il ginecologo mi ha fatto un’ecografia. Ha girato lo schermo verso di me dicendo ‘Ecco, c’è pure il battitino’. Non so se gli è venuto spontaneo, ma se lo poteva risparmiare. Ho saputo solo dopo che non avrebbe dovuto nemmeno farmi vedere il monitor”. Così inizia la testimonianza di Agata, 38 anni residente in Sardegna, raccolta per la prima volta da Obiezione Respinta e riportata da Fanpage.

I fatti risalgono allo scorso anno. Il problema, spiega la donna, non è stato accedere all’interruzione volontaria di gravidanza, ma tutto quello che è successo durante il procedimento.

“Quando ho scoperto di essere incinta – ha raccontato Agata -, io e il mio compagno abbiamo deciso di comune accordo di non portare a termine la gravidanza. Su consiglio di un’amica sono andata a fare una visita in ospedale. La dottoressa mi ha ricevuto nel reparto di ginecologia e ostetricia, lo stesso dove ci sono i neonati. Ero in preda a un forte scombussolamento ormonale. La vista di quei bambini mi ha turbata”.

La donna prende la prima pillola nella stessa sala d’attesa dove le altre presenti attendono per fare i monitoraggi. Dopo due giorni, Agata torna in ospedale per la seconda compressa. “Dato che era una domenica, ho pensato che fortunatamente non c’erano le ragazze che dovevano fare i tracciati. Non è andata così, e mi hanno messo in una sala d’aspetto con genitori e neonati”, continua. “Ero in presa a dolori atroci, folgoranti. Sono dovuta correre al bagno perché ho iniziato a vomitare. Mi sono trovata piegata in due tra mamme e papà in festa. Mi sono sentita spogliata di ogni dignità”.

Dopo il malore, Agata ha chiesto aiuto al personale sanitario. “Non mi reggevo in piedi e continuavo a vomitare – racconta ancora la donna – ho chiesto cosa dovevo fare. Nessuna di loro si è alzata dalla sedia, mi hanno guardata con disprezzo e mi hanno risposto ‘eh vabbè, questi sono i dolori che avrai più o meno tutto il giorno. Tra mezz’ora ti diamo un’altra pillola e poi te ne vai a casa’ ”.

Tornata dall’ambulatorio, le cose sono peggiorate. “I dolori sono aumentati e ho cominciato a delirare – continua Agata -. Tutto questo sempre nella sala d’attesa sotto gli occhi di decine di persone. Pregavo di poter svenire in modo da non dover più sopportare quell’umiliazione. Non erano le condizioni in cui mi sarei voluta far vedere da qualcuno, ed ero terrorizzata che in quella sala entrasse qualcuno di mia conoscenza”.

Dopo quindici giorni, Agata è andata a farsi visitare per vedere se aveva espulso tutto. “La dottoressa mi ha detto che era tutto a posto e stavo ovulando. Peccato che non era vero, perché poi sono andata dalla mia ginecologa di riferimento, ero piena di residui. Un’incompetenza dopo l’altra. Alla visita mi era stato anche detto che dopo la prima mestruazione sarei dovuta andare dalla mia ginecologa. Ma se io non ne avessi avuta una? Se non avessi avuto i soldi per pagarla? Capisco che hanno molte pazienti e che si occupano più del lato che riguarda le gravidanze. Ma abortire non è una cosa di contorno, non va trattato come un fatto di poca importanza”.

Per questo Agata ha deciso di scrivere all’ospedale per denunciare l’accaduto e chiedere spiegazioni. “Ho scritto all’Ufficio relazioni con il pubblico e non mi hanno mai risposto – racconta -. Ho scritto anche alla primaria, non ho avuto risposta nemmeno da lei. E allora mi sono rivolta a Obiezione Respinta, in modo che la mia storia non rimanesse inascoltata”.

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