È una sostanza stupefacente come tutte le altre. Con il decreto interministeriale approvato lo scorso 12 gennaio il Governo fa marcia indietro e rischia di dare un colpo durissimo alla produzione della cannabis light, la sostanza a basso contenuto di Thc attualmente venduta liberamente nei negozi, nelle tabaccherie e nei distributori automatici. L’intesa raggiunta dalla conferenza Stato-Regione – come anticipa il quotidiano Open – rischia infatti di mandare letteralmente in fumo un mercato che ha creato negli ultimi anni migliaia di posti di lavoro (soprattutto tra i giovanissimi).

Il decreto interministeriale, che coinvolge i ministeri della Salute, dell’Agricoltura e della Transizione ecologica, riconduce infatti “la coltivazione delle piante di cannabis ai fini della produzione di foglie e infiorescenze o di sostanze attive a uso medicinale” al Testo Unico sugli stupefacenti, a prescindere dal livello di Thc.

In pratica la cannabis light sotto lo 0,6 per cento di Thc (cosiddetto effetto drogante) viene equiparata a quella superiore allo0,6 che, invece, richiede l’autorizzazione del ministero della Salute per la produzione. Dunque anche per produrre legalmente la cannabis light bisognerà avere la specifica l’autorizzazione del ministero della Salute. In mancanza, coltivatori e rivenditori rischiano di subire le sanzioni del Testo unico sulle droghe (tra cui l’arresto immediato).

Il cambio di rotta dell’Italia è in controtendenza rispetto alle posizioni dell’Onu che ha eliminato la cannabis dalla lista delle sostanze dannose. In Europa, d’altronde, altri Paesi si muovono in direzione opposta: la Germania ha inserito la legalizzazione della cannabis nel programma di governo, mentre Malta l’ha già legalizzata.

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