(Foto credit: Matteo Meloni)

Dallo scorso 7 ottobre la Striscia di Gaza è al centro di un violento conflitto che vede protagonisti Israele e l’organizzazione terroristica Hamas. Il bilancio delle vittime sul territorio, come riporta Al Jazeera, supera i 9mila morti, di cui quasi 3760 sono bambini e 2326 donne.

I corridoi umanitari, auspicati dallo stesso presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, sono bloccati tranne che per un’unica via d’uscita al confine con l’Egitto.

Nella striscia di Gaza vivono due milioni di abitanti, con un’altissima percentuale di minori. 

Della questione si occupa da tempo Matteo Meloni, giornalista ed esperto di geopolitica, già addetto stampa al Ministero degli Esteri e Communication adviser alle Nazioni Unite, che ci spiega più approfonditamente quel che sta accadendo.

Partiamo da Gaza. A che punto siamo? Era davvero inevitabile questo conflitto?

Quello che sta accadendo nelle ultime settimane non è altro che la punta dell’iceberg di una violenza perpetrata nei confronti del popolo palestinese che va avanti da settantacinque anni. Da quando è nato lo Stato d’Israele, i palestinesi vivono in condizioni precarie nel loro territorio – o quello che dovrebbe essere il loro territorio. Gaza è diventata un campo di concentramento vero e proprio, perché le persone non possono uscire da lì, i rifornimenti possono arrivare solo dal valico di Rafah, in Egitto, mentre gli altri sono chiusi.

C’è però chi sostiene che sono gli stessi palestinesi a supportare Hamas. È così?

Alcune persone vedono in questa organizzazione una causa che può aiutare a riconoscere lo Stato della Palestina. Ricordiamoci che ancora oggi non esiste uno Stato palestinese né tantomeno un esercito. Quindi gli unici che possono intervenire militarmente sono dei gruppi armati, tra i quali esiste anche la frangia di Hamas: le brigate Al-Qassam. Stiamo parlando di una situazione che vede da una parte Israele, con un esercito regolare, d’altra parte c’è Hamas che a Gaza funge anche da operatore sociale.

Pensi che ci sia il rischio di un nuovo Stato islamico in “stile Isis”?

L’Isis e Hamas si basano su principi politici, etici e morali ben diversi. Hamas opera in Palestina, l’Isis voleva conquistare gran parte del territorio dov’è presente la comunità musulmana, la “umma”. La correlazione tra le due organizzazioni è frutto di una totale disinformazione che non permette di comprendere ciò che sta realmente accadendo. Così com’è avvenuto dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre, il mondo occidentale ha scoperto in qualche modo l’Islam come una formazione che voleva “annientare” la cultura occidentale. Ma Al-Qaeda nasce dall’onda lunga russa in Afghanistan, così come Hamas nasce dal supporto stesso israeliano per contrastare le politiche dell’Olp di Yasser Arafat, una formazione del tutto laica e progressista che mandava avanti la causa palestinese. Serviva quindi un contraltare per spezzare questa voce unitaria. Ci sono riusciti e questa situazione è diventata un “backfire”, come si dice in gergo.

Tra i supporter di Israele c’è chi sostiene che sia l’unica democrazia del Medio Oriente. Come la vedi?

Se lo fosse non praticherebbe l’apartheid nei confronti degli arabi israeliani presenti nel suo territorio, così come ha affermato Human Rights Watch. Non porterebbe avanti politiche coloniali e di violenza nei confronti di una popolazione che dovrebbe avere pari diritti e non terrebbe alla fame chi vive a Gaza. È una situazione che va avanti da tempo e che non porta in nessun modo a poter immaginare una soluzione a due Stati: è lontanissima dall’essere realizzata.

A fine settembre ci son state delle forti proteste a Tel Aviv contro la nuova riforma giudiziaria che vorrebbe portare avanti Netanyahu. C’è il rischio che si fermi tutto?

Sì in sostanza sta avvenendo anche questo. La cittadinanza israeliana è divisa in parte, nel senso che l’appoggio dato ai partiti di destra è evidente, quindi hanno la maggioranza e governano. Mentre i progressisti sono una minoranza. D’altra parte non tutti gli israeliani appoggiano l’occupazione di Gaza, tanto che esiste una stampa libera in Israele. Il caso di “Haaretz” è eloquente, dove lavorano numerosi giornalisti che parlano di crimini di guerra da parte di Netanyahu. Esistono anche diversi militari che si sono uniti in un’organizzazione chiamata “Breaking the silence” che vuol fare luce sulle pratiche illegali nei confronti dei palestinesi da parte dello stesso esercito.

Passando all’Occidente, come si stanno muovendo le forze politiche in questo campo?

La politica internazionale vive una situazione di stallo, perché all’interno dell’organo delle Nazioni Unite, che dovrebbe funzionare in momenti di crisi come questa, ovvero il Consiglio di Sicurezza, esistono cinque Paesi che pongono il veto ogniqualvolta ci sia l’opportunità di portare avanti una risoluzione positiva, bloccando di fatto qualsiasi decisione in merito. Tutto ciò arriva da molto lontano, con quattro anni di Donald Trump possiamo dire di aver visto l’apice del malfunzionamento di questo organismo: pensiamo all’uscita dall’Oms, dall’Unesco e gli Accordi di Parigi con Biden che ha cercato di recuperare nel corso del suo mandato. L’Unione europea si ritrova come al solito in mezzo con posizioni diverse: Ursula von der Leyen ha appoggiato pienamente Israele senza però il consenso di tutti i 27 Stati. Pensiamo al governo spagnolo o alla posizione dell’Irlanda, che hanno posto l’accento su altre dinamiche, ma anche a quello che ha detto il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, che ha portato Israele a bloccare l’emissione dei visti per i funzionari delle Nazioni Unite.

In Occidente, tra l’altro, assistiamo a scene d’odio come il linciaggio nei confronti degli israeliani appena atterrati nel Daghestan o alle stelle di David apparse a Parigi. Siamo così ideologizzati?

Purtroppo l’antisemitismo è vivo e vegeto. Tutti coloro che si identificano nelle politiche portate avanti dopo la seconda guerra mondiale, respingono totalmente queste ideologie. Questi sono episodi di un’ignoranza latente che non c’entrano niente con Israele. Non dimentichiamoci però che anche i partiti di estrema destra così come i suprematisti bianchi, che portano avanti ideologie antisemite, in realtà poi sono i primi a voler fare affari con Israele.

Un modus operandi presente anche in Europa? 

Sì, e questo non ci deve stupire, perché la logica alla base di queste posizioni è di puro potere elettorale. Noi parliamo tanto di religione quando parliamo di questa vicenda, ma in realtà stiamo parlando di logiche coloniali, logiche di potere, logiche di occupazione territoriale, e di logiche che vedono l’estremizzazione dei principi del capitalismo rappresentarsi in tutta la loro violenza contro le minoranze. Basandosi su forti ingiustizie come la differenza sociale, etnica, che ha che fare con ben altre dinamiche.

Leggi le altre notizie su www.cagliaripad.it