Carlo De Ruggieri è uno degli attori icone della serialità televisiva italiana. Abitualmente viene riconosciuto per la sua interpretazione de “lo schiavo” in Boris. Un personaggio che gli ha dato una impronta ben precisa, per quanto non rappresenti appieno la sua carriera attoriale.

Di recente è stato apprezzato anche nella serie “Imma Tataranni” e nel film “Santo Cielo”. Ma è in teatro che esprime buona parte del suo potenziale. Come nello spettacolo “456”, scritto da Mattia Torre, autore al quale è rimasto legato da tante esperienze personali e professionali.

Spettacolo presentato di recente in Sardegna coi colleghi Massimo De Lorenzo e Cristina Pellegrino. Ecco il suo racconto.

Che tipo di Italia viene rappresentata nello spettacolo?

“456” è la storia di un nucleo familiare che vive in una valle sperduta e hanno paura di tutto ciò che c’è al di fuori. Tra di loro si odiano. Questa loro chiusura non li scherma dalla negatività che hanno paura di trovare fuori ma che in realtà covano dentro. La lettura metaforica può essere varia. Principalmente tutto quello che può essere diverso da qualcosa di riconoscibile, che può avere a che fare con la tradizione, tipica italiana. Un tema molto forte.

Tema forte, ma soprattutto attuale, lungo gli anni..

Sì, già quando è stato scritto da Mattia nel 2011 era una tematica presente in tanti aspetti della società. Poi Mattia è stato ispirato da cose particolari, da certi piccoli mondi nascosti della nostra penisola. Dove questi atteggiamenti di paura, e di violenza generati dalla paura ogni tanto emergono in maniera evidente.

È uno spettacolo che mescola dramma e comicità: è il miglior modo per far riflettere lo spettatore?

Mattia aveva una tendenza naturale ad un racconto umoristico. A notare nella realtà degli aspetti di per sé iperbolici, che possono scatenare una risata. Questo lo utilizzava in modo funzionale ad una riflessione. Molte volte i suoi testi sono divertenti, ma sono commedie nere, in certi casi. I testi hanno una stratificazione, delle chiavi di lettura non univoche.

Manca Mattia Torre?

Mi manca molto. Da quando abbiamo ripreso a portare in giro lo spettacolo, ogni tanto mi fermo ad ascoltare, immaginare lui che inizia a ideare questa lingua inventata con cui ha scritto questo spettacolo e che è una particolarità dello spettacolo. Avrei mille domande, curiosità, risate da fare assieme. È come se ci fosse una mancanza incolmabile. Con lo spettacolo portiamo in giro le sue parole, la sua intelligenza.

Hai dato il volto a tanti personaggi, sia televisivi che cinematografici. Di recente anche al cinema con “Santo Cielo”. Com’è lavorare con tre mezzi artistici e di comunicazione cosi differenti, compreso il teatro?

È bello. Se uno ha la possibilità di districarsi tra queste tre forme d’attore vuol dire che uno sta lavorando bene. Ci sono delle differenze, ma non ci sono difficoltà particolari. Serve l’impegno.

Qual è il tuo rapporto con la Sardegna?

Ho un rapporto molto profondo. Ho amicizie con radici molto antiche, amicizie che erano molto collegate anche a Mattia. C’era un nostro amico di Sassari, che oggi purtroppo non c’è più, che è stato il nostro Virgilio per quest’isola. Con cui si è creato un legame molto profondo. Ci torno ogni tanto, d’estate, sempre molto volentieri.

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