A Roma si vota per il nuovo sindaco il 3 e 4 ottobre. Tra i candidati c’è anche Carlo Calenda, leader di Azione, che ha affisso nella capitale i volti dei suoi candidati, tra i quali c’è anche la rappresentante del Consiglio d’Istituto del Liceo Righi, Cecilia Frielingsdorf.  Cognome troppo complicato, avrà pensato lo staff Comunicazione, che quindi ha scelto di presentare la candidata soltanto con il suo nome: Cecilia.

Il fatto non è sfuggito alla scrittrice Michela Murgia, che fin da subito ha commentato con una serie di story sul suo profilo Instagram la decisione come sessista: “La difficoltà del cognome non è una motivazione valida”. Per confermare la sua posizione, Murgia fa l’esempio di Elly Schlein, ora vice presidente della Regione Emilia-Romagna, che ha basato l’intera campagna elettorale proprio sul suo cognome: “Si scrive Schlein” si leggeva sui manifesti.

Inevitabile lo scoppio della polemica sui social, ma a rispondere prontamente è la stessa candidata calendiana, che sul suo profilo Twitter risponde: “Gentile Michela Murgia e cari elettori, mi chiamo Cecilia Frielingsdorf. Per semplificare la possibilità di votarmi sono stata iscritta alle liste elettorali come Cecilia Frielingsdorf detta CECILIA. Spero di essere giudicata per le mie idee e non per il mio cognome”.

In ogni caso, sulla scheda elettorale saranno presenti nome e cognome della candidata, così com’è accaduto anche per la vice presidente emiliana, che all’anagrafe è registrata come Elena Ethel Schlein. Anche in quel caso, infatti, si optò per il “detta Elly”, così da rendere meno complicata la faccenda.

Polemica sterile? Non del tutto. Il vero problema, alla fine, è che in un Paese – il nostro – in cui i nomi stranieri son sempre più diffusi per via dei fenomeni migratori che lo coinvolgono, è tempo che gli italiani si facciano protagonisti – e non semplici spettatori – di tale cambiamento e imparino anche qualche pronuncia straniera, che tra qualche anno, straniera non sarà più.

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