Nel corso del primo semestre 2022 il valore dei beni prodotti in Sardegna e venduti all’estero è cresciuto del 61% sospinto dall’aumento dei prezzi nel settore dei prodotti petroliferi raffinati. Eppure, al netto della lavorazione degli idrocarburi, il semestre si è chiuso con una complessiva flessione dell’export regionale pari al -8,4%, il secondo risultato peggiore (dopo il Molise) tra le venti regioni italiane.

La flessione è da imputare quasi esclusivamente al crollo delle vendite di prodotti dell’industria metallurgica (-69%). Tiene invece il mercato estero dei prodotti agroalimentari (+10%), soprattutto grazie al comparto vitivinicolo e a quello della pasta e dei prodotti da forno; prosegue, di contro, il trend di indebolimento della domanda estera delle produzioni lattiero casearie (-5,5% per l’export di formaggi e derivati), che ha compensato la crescita del prezzo dei prodotti sardi (il prezzo al kg del pecorino ha ormai superato quello del parmigiano).

L’ultimo report del Centro Studi della Cna Sardegna evidenzia però soprattutto come la Sardegna sia una delle regioni italiane con la bilancia commerciale più squilibrata, circostanza dovuta anche alla elevatissima quota di import di materie prime per l’industria petrolifera. In un contesto di rapida ascesa dei prezzi all’import si amplia infatti il saldo tra import ed export.

“L’incremento medio dei prezzi dei beni importati è quantificabile in un +46% rispetto al primo semestre del 2021, con punte del +83% per quanto riguarda le commodity industriali (soprattutto idrocarburi) – commentano Luigi Tomasi e Francesco Porcu, rispettivamente presidente e segretario regionale della Cna Sardegna -. Questa crescita dei prezzi, su cui impatta anche l’indebolimento della moneta unica nei confronti del dollaro, mette pressione al sistema delle imprese, ne riduce i margini e si riflette, indirettamente, sul livello dei prezzi per i beni al consumo”. Il contesto di rapida ascesa dei prezzi all’import e i costi sull’energia significativamente più elevati che le imprese sarde sostengono rispetto ai competitors rischiano di mettere fuori mercato pezzi importanti del tessuto produttivo isolano”.

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