Con oltre 520mila follower su Instagram, Cathy La Torre è l’avvocata più seguita sul web. Si è fatta conoscere con la campagna di sensibilizzazione “Odiare ti costa”, attraverso cui ha portato nel dibattito pubblico il tema dei crimini d’odio e della violenza di genere online. Lei stessa è stata molto spesso insultata e minacciata per il suo orientamento sessuale e le battaglie intraprese per portare avanti i diritti della comunità Lgbtqia+.

In occasione dell’apertura del convegno “Magistratura tra realtà e finzione. La forza del pensiero critico”, organizzato a Cagliari da Area democratica per la giustizia, corrente della magistratura presieduta dal giudice Cristina Ornano, è intervenuta a proposito di “giustizia riparativa” in relazione ai crimini d’odio commessi nella rete.

“La giustizia riparativa che cos’è? Qual è la differenza, nell’applicazione concreta quando si tratta di crimini d’odio online, tra giusizia riparativa e punitiva?”, inizia così il suo intervento Cathy La Torre. “La differenza è sostanziale e può fare la differenza – prosegue -. Molto di quello che avviene attorno ai crimini d’odio online, come un atto di diffamazione, un insulto gratuito online o una minaccia, è una conseguenza del fatto che noi viviamo la rete un po’ come un giardino pieno di spazzatura”.

Per anni l’avvocata del web ha vissuto in prima persona questo fenomeno sempre più dilagante. “Ogni volta – racconta La Torre – ero completametne sommersa di insulti: per il mio orientamento sessuale, per la mia attività politica, di avvocata e per il mio impegno nella lotta alla violenza di genere. Spesso, i commenti e gli insulti sono estremizzati quando si tratta di donne, nella maggior parte dei casi sono legati al bodyshaming”.

Serviva un’azione concreta per trovare una soluzione e mettere un argine all’odio online. “È nata così – racconta l’avvocata – la campagna ‘Odiare ti costa’, che è iniziata dal web, ma è proseguita anche offline. Mette insieme strategie di giustizia riparativa, appunto, attraverso un percorso che faccia acquisire una certa consapevolezza delle ripercussioni che una determinata offesa può avere nella vita reale per la persona che l’ha subita”.

A questo punto La Torre porta degli esempi molto concreti di crimini d’odio avvenuti sul web, sebbene le piattaforme virtuali vengano ancora considerate come un luogo astratto, dove tutto è concesso. “Prima è stato letto l’intervento della senatrice Liliana Segre sull’hate speech. Io mi ricordo bene che sotto l’articolo di Fanpage.it, con un seguito di nove milioni di follower, una persona scrisse questo commento: c’era l’immagine di un forno crematorio accompagnata dalla frase ‘Ma non potevi stare a casetta’. Il messaggio intendeva dire che se lei fosse bruciata in un forno crematorio, ora non sarebbe qui a ‘rompere le scatole’ sui crimini d’odio”.

E dato che le ultime modifiche avevano stravolto l’applicazione della Legge Mancino per quanto riguarda la propaganda d’odio, per cui oggi è necessario che l’insulto venga compiuto con un mezzo che deve davvero influire in modo incisivo, “mi son detta bene – racconta La Torre – nove milioni di follower sono abbastanza e quindi ho fatto un esposto e ho individuato immediatamente la persona. L’ho ‘profilata’ attraverso le tracce che aveva lasciato sulla rete, non è stato necessario rivolgermi alla magistratura e agli inquirenti o alla polizia postale. Sono riuscita a risalire all’identità del commentatore: si trattava di un uomo di ottant’anni di Conegliano veneto, avevo scoperto che era il nipote di un padre costituente del Partito comunista! Pensate!”

A quel punto La Torre ha contattato il commentatore scrivendo anche una lettera per provare a iniziare un percorso di consapevolezza, proprio attraverso la giustizia riparativa. Un procedimento che ha dato un risultato inizialmente insperato. “Mi ha mandato una lettera di scuse e mi ha anche detto che aveva iniziato un corso di alfabetizzazione digitale”.

Ma gli esempi di questo genere si sprecano in un mondo affollato da milioni di persone qual è quello del web. “Con la giustizia riparativa – spiega La Torre – la vittima acquisisce un piano di dignità, ma anche gli artefici dei crimini d’odio talvolta possono prendere consapevolezza della reale ricaduta che questi gesti possono avere nella vita reale delle vittime”.

Il convegno proseguirà fino a domenica 26 nell’aula magna del Palazzo di Giustizia, in piazza Repubblica, e al Palazzo Doglio in via Logudoro, dove l’accesso è consentito a chi è in possesso del Green pass e nel rispetto delle regole sanitarie anti Covid. Tre giorni in cui si parlerà di crimini d’odio e giustizia con la partecipazione di magistrati, avvocati, docenti universitari, sociologi, politici e giornalisti.

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