Tra pochi giorni sarà il solstizio d’inverno e mi piace ricordare l’interesse enorme che il popolo nuragico coltivava per questo momento astronomico e che ha cristallizzato nelle sue architetture in modo evidente

Da molti anni, infatti, mi interesso di archeoastronomia e una fredda sera del solstizio d’inverno di 25 anni fa, il 20 dicembre 1995, godetti del privilegio di assistere alla conferma di un’intuizione che ritengo decisiva per la comprensione della civiltà nuragica: le linee tangenti alle torri periferiche dei nuraghi complessi sono orientate astronomicamente e alcuni nuraghe sono addirittura concepiti astronomicamente. La loro forma, cioè, è figlia di un pensiero astronomico.

Quella sera, al tramonto, trovai lo studioso autodidatta Mauro Zedda “arrampicato” sul nuraghe Santu Antine di Torralba. “Abbracciava” il monumento e, nel vedermi, urlò con le lacrime agli occhi: «È il più straordinario osservatorio astronomico dell’antichità!». L’osservazione del tramonto e dell’alba del giorno dopo in corrispondenza del paramento murario del monumento, ci regalò (e regala da 3500 anni!) uno spettacolo di indicibile bellezza. Il tramonto e la magnifica alba al nuraghe Santu Antine rivelavano non solo gli orientamenti, ma addirittura la concezione astronomica del nuraghe più bello e più complesso, con il “gemello” nuraghe Losa.

I due monumenti escono infatti dal novero dei monumenti astronomicamente orientati e assurgono al rango di monumenti astronomicamente concepiti, ovvero il loro disegno planimetrico è figlio di un pensiero astronomico, come avviene per le piramidi egizie. Sono inequivocabilmente disegnati per cristallizzare il moto apparente del Sole (e della Luna).

Questa intuizione, che ci fece definire il Santu Antine in modo altisonante “un’icona del cosmo”, è divenuta negli anni pubblicazione scientifica, e gli studi di Zedda sull’orientamento astronomico dei nuraghe sono da tempo riconosciuti dai più autorevoli studiosi mondiali ed è approdati, nel 2015, nel monumentale trattato Handbook of Archaeoastronomy and Ethnoastronomy edito dalla Springer di New York (la più importante casa editrice scientifica del mondo), la bibbia dell’archeoastronomia internazionale.

Tale è lo stupore che il Santu Antine ha suscitato negli studiosi di archeaostronomia di tutto il mondo, da aver indotto il più grande storico della scienza vivente e docente emerito al Churchill College di Cambridge Michael Hoskin, a definirlo, nel trattato Atlante di archeaostronomia del Mediterraneo (edito nel 2002 in lingua spagnola) addirittura come “il monumento in pietra a secco più sofisticato sulla superficie della terra”. I suoi studi sull’orientamento delle tombe preistoriche del Mediterraneo, buona parte dei quali peraltro svolti in Sardegna, sono valsi a Hoskin la medaglia d’oro al merito per le Belle arti per decreto del Re di Spagna. Un busto di Hoskin campeggia presso il sito di Antequera in Spagna, studiato e valorizzato dallo Studioso britannico e contribuisce a fornire valore aggiunto significativo al pur celebre sito.

Ecco perché, quasi un quarto di secolo dopo quella sera d’inverno, chiedo agli archeologi accademici sardi cosa aspettino ancora a prendere atto e a valutare la letteratura scientifica archeaostronomica internazionale e le sue immense inferenze nello studio dei nuraghe.

E propongo di apporre presso il Santu Antine una targa con la splendida definizione del monumento coniata dal massimo storico della scienza vivente: “Il monumento in pietra a secco più sofisticato sulla superficie della terra”.

Paolo Littarru – Ingegnere. Autore del libro “Il contadino che indicava la luna. Storia di un cambio di paradigma nell’archeologia sarda”

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