Chiudeva dieci anni fa Radio Press. Una emittente che ha portato un enorme valore al modo di fare giornalismo in Sardegna, ed in particolare a Cagliari. Ma che, proprio per il suo carattere unico, è rimasta inimitabile nel tempo.

Per ricordare l’esperienza di Radio Press, è nata una bella e lunga chiacchierata con Vito Biolchini: direttore degli anni d’oro, testimone diretto di un progetto che ha prodotto uno straordinario servizio pubblico.

Quanto ti manca Radio Press?

Radio Press fa parte di un percorso. È chiaro che alcune cose mancano, altre meno. Cioè Radio Press va presa nella sua interezza. Delle cose belle manca il rapporto speciale con il pubblico degli ascoltatori, che poi è rimasto nel tempo perché con tanti continuiamo ad essere in contatto.

Parliamo di questo percorso, allora

L’esperienza di Radio Press dura quasi vent’anni, anche se tutti l’hanno conosciuta per la fase che è partita intorno al 2005-2006. Però ci sono 10 anni che precedono il momento di boom, 10 anni fondamentali. Ero presente già all’inizio del progetto, nel 95-96. Poi sono andato via, ho fatto un lungo percorso professionale e sono tornato nel 2005. È lì che ho assunto un incarico da direttore, e che parte la fase che tutti conoscono. Però senza quei 10 anni precedenti, in cui un modello di Radio legato al giornalismo era già stato messo a punto, non sarebbe andata avanti quella fase più gloriosa. Noi abbiamo sviluppato meglio ciò che era stato pensato prima. È stata una cosa abbastanza incredibile perché tra il 2005 e il 2006 la radio stava per essere chiusa. Con un nuovo editore, Alessandro Manunta, abbiamo potuto portare avanti il progetto e lavorare come volevamo noi.

Come ti spieghi il boom della radio? Perché ancora oggi quando si nomina Radio Press a Cagliari (e non solo) le persone ne parlano un po’ con nostalgia?

Perché gli ascoltatori erano protagonisti in una fase in cui i social erano ancora agli albori. Il segreto è stato quello: riprodurre le modalità delle radio private degli anni 70/80. Era stata una mia precisa scelta. Così, la gente aveva la possibilità di intervenire, di passare, di segnalare, di partecipare. Si era creata una comunità degli ascoltatori. Questo è stato il segreto: ascoltare le persone, farle partecipare alla vita della radio. Chiaramente, Buongiorno Cagliari in questo è stato un elemento fondamentale perché era la trasmissione dove veramente gli ascoltatori partecipavano. Tieni conto che nelle fasi di maggiore impegno noi facevamo 25 trasmissioni alla settimana, avevamo quattro trasmissioni diverse al giorno.  La domenica mandavamo repliche più le 11 edizioni di notiziario, quindi, il successo è stato questo.

Ha aiutato anche avere una redazione giovane?

Assolutamente. Si lavorava con  grande serenità, senza condizionamenti di nessun tipo. Il giornalismo è una cosa semplice. E poi c’era un lavoro di gruppo, c’era una redazione vera dove ci si confrontava.

Una parte fondamentale della radio è stata Buongiorno Cagliari: che tipo di lavoro facevate con Elio e come lo portavate poi in onda?

Buongiorno Cagliari nasce molti anni prima del suo debutto radiofonico perché io ed Elio abbiamo avuto un grande trascorso di natura teatrale, abbiamo scritto molti spettacoli assieme. Elio faceva parte peraltro anche lui della squadra iniziale seppur come programmista. Questo gioco di fare i personaggi, di commentare le cose ce lo facevamo tra di noi per ridere. Per cui un giorno penso: “ma perché non lo facciamo in radio, prendiamo i giornali commentiamo e tu fai i tuoi personaggi”. E la cosa è nata così. Abbiamo reso pubblico un divertimento privato. La cosa interessante è che poi la gente ci ha seguito e noi abbiamo anche seguito loro perché c’era sempre uno scambio.  C’erano giorni che ci arrivavano 200 sms in due ore (allora non c’era WhatsApp per fortuna, perché altrimenti sarebbe stato ingestibile). In un anno sono arrivati alla radio 60.000 sms, 60.000 totali, sommate in tutte le trasmissioni. Penso che sia stata veramente una delle esperienze giornalistiche più importanti della Sardegna.

Per quale motivo?

Per una serie di motivi. Intanto per un rapporto col pubblico che era così forte; per i numeri; e poi perché comunque eravamo tutti giovani, anzi, io ero il più anziano. Io quando sono diventato direttore di Radio press avevo 36 anni e, a parte qualcuno, erano tutti molto più giovani di me. C’era una quantità di collaboratori, di persone che hanno lavorato lì che hanno fatto carrieroni. Da Alberto Urgu, Paola Pilia, Nicola Muscas, Monica Magro, Gabriele Lippi, Lorenzo Manunza, Ottavio Pirelli, Giovanni Runchina. Cioè sono tanti quelli che poi hanno continuato a fare i giornalisti e a farlo bene.

Se ti dico Cristiano Bandini cosa ti viene in mente?

Eh.. l’esperienza con Cristiano nasce prima di Radio Press perché dal 2000 abbiamo prodotto un giornale che si chiamava Godot. Era un giornale online di cultura e spettacolo. Ci siamo conosciuti in ambito teatrale poi è nato il giornale, l’abbiamo fatto assieme per quattro anni poi dopo si apre la fase di Radio Press. Che dire, di Cristiano non è facile parlare perché è chiaro che è una persona che continua ad accompagnarci in quello che facciamo. Era una persona importante per quel gruppo.

Hai un aneddoto, una situazione che ricordi con piacere? Molti ricordano l’alluvione di Capoterra, ad esempio..

Quello è stato un giorno in cui noi abbiamo dimostrato di essere un gruppo giornalistico di grande valore e che l’informazione è sempre pubblica anche se a farlo sono soggetti privati. Non abbiamo mai piegato l’esigenza dell’informazione alle esigenze commerciali, ci siamo sempre sentiti una radio di servizio pubblico e quel giorno ci siamo comportati in quel modo. Tra l’altro, ti dico la verità, dal punto di vista organizzativo senza neanche un grandissimo sforzo perché noi quelle dirette le avevamo già testate in occasione delle campagne elettorali. Quindi, la macchina era già pronta. Quel giorno peraltro non eravamo neanche al massimo delle nostre potenzialità, mancava qualcuno, però abbiamo fatto un servizio straordinario. Siamo stati gli unici che dalla mattina alla sera. al giorno dopo abbiamo raccontato quello che stava succedendo. Abbiamo dato informazioni importanti. Quella giornata è stata, nella tragedia, una giornata memorabile per noi, per la radio, per il ruolo che ha avuto. Questo lo fai se hai un gruppo che lavora, che ci crede. Cioè questo accade se hai 10 persone che lavorano tutti assieme con grande armonia. Anche questo è un altro segreto: c’è sempre stata una grande armonia tra di noi, un grande rispetto.

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