Dopo aver appreso del suicidio di un detenuto nella Casa di reclusione di Oristano-Massama, Maria Grazia Caligaris di Socialismo Diritti e Riforme interviene su una questione molto dibattuta: “Non è possibile – scrive – trovare una giustificazione a un suicidio in una struttura penitenziaria. È il dramma della solitudine senza rimedio in cui si trova una persona. È l’assenza di dialogo e di possibilità di essere davvero ascoltato. Documenta purtroppo, ancora una volta, quanto la perdita della libertà e l’assenza di risposte possano gravare su un individuo che sconta una pena. È un fallimento su cui le istituzioni devono riflettere”.

Non è possibile, prosegue Caligaris, valutare le reali motivazioni che inducano una persona al gesto estremo, ma, sottolinea, probabilmente il senso di abbandono è ciò che “fa scattare la molla che induce a non voler più accettare l’esistenza”. La mancanza di un lavoro e di una vita sociale attiva possono portare a una condizione di disperazione, dove il futuro è sempre più offuscato.

“Non si può negare che spesso la detenzione risulta fine a se stessa, senza speranza di riscatto. Così concepita non serve a nessuno e umilia il ruolo di chi lavora dentro un istituto penitenziario”, prosegue Caligaris. Ciò che serve è il personale, non soltanto gli agenti ma anche gli educatori. Servono i programmi e le condizioni di convivenza che proiettino le persone private della libertà verso un futuro in cui siano attori della propria vita. “Un carcere chiuso in se stesso – conclude Caligaris – non può esercitare quel ruolo che la Costituzione e l’ordinamento penitenziario gli richiedono”.

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