(Foto credit: Lei Festival)

Un mondo in disfacimento, la fine di ogni certezza palpabile e un futuro indecifrabile. “L’uomo senza qualità” di Robert Musil riflette l’uomo contemporaneo, per cui il mondo di ieri, con le sue illusioni di armonia, di compiutezza, con le sue pretese di esattezza in ogni campo, è finito per sempre. Nessuna via d’uscita, soltanto una possibilità: continuare a cercare. Così Massimo Cacciari, filosofo, professore emerito di Estetica all’Università San Raffaele di Milano e membro dell’Accademia dei Lincei, ha presentato il suo panel “Viaggio in Paradiso, secondo Musil” all’ultima serata del Lei Festival, domenica 11 dicembre, al Teatro Doglio a Cagliari.

Un ospite attesissimo in sala, gremita di studiosi, giovani filosofi, curiosi e follower del volto noto per i suoi interventi televisivi sui più disparati temi d’attualità: dalla guerra in Ucraina alla gestione della pandemia da Covid, il futuro dell’Unione europea e la politica tout court.

Il romanzo di Musil racconta la perdita di certezze, che poi è quel che è successo durante la pandemia quando tutti aspettavano delle risposte esatte che non sono arrivate. E si è generato il caos. Come si fa quindi a gestire quest’epoca di incertezze?

Cercando di conoscere per quanto possibile le cause della crisi internazionale e non concedendo nulla, come Musil insegna, alle retoriche conservatrici né a quelle innovative, e neppure allo scientismo che crede che ogni problema sia risolvibile soltanto per via tecnico-scientifica.

La pietra miliare della letteratura europea del Novecento, secondo il professor Cacciari, non è altro che un’anticipazione di quel che oggi è sotto gli occhi di tutti: la dirompente trasformazione di un’epoca storica che si ritrova senza mezzi adeguati per “prevedere” quel che sta per accadere. “La traduzione italiana del titolo di quest’opera – spiega il filosofo – non rende bene l’idea di quel che sta dietro questo romanzo. Perché il protagonista Ulrich non è senza qualità, anzi. Sarebbe meglio parlare di ‘proprietà’. Ecco, siamo di fronte a un uomo senza proprietà, nel senso di possedere. Non riesce più a tenere insieme la ‘cosa’ nel senso più ampio del termine”. Il personaggio si trova quindi in una sorta di sospensione che gli impedisce di agire ma allo stesso tempo prova a trovare una via d’uscita, appunto, nelle teorie statistico-probabilistiche dell’epoca. Una fra tutti, quella della termodinamica di Ernst Mach, che influenzò profondamente l’arte, la cultura e la letteratura degli anni in cui visse lo stesso Musil. “Il tema fondamentale di questa crisi – continua Cacciari -, che è scientifica prima di tutto, è la de-sostanzializzazione della realtà. Non c’è un fondamento ultimo della cosa per cui non potrai mai trovare la causa che ti spieghi la cosa, quindi non potrai mai giungere a definire la cosa, l’effetto, perché ogni effetto ha una sua singolarità che non è riconducibile alle cause che tu ritieni essere quelle che hanno prodotto quella cosa”.

Ma questa profonda crisi portata avanti dalla scienza contemporanea, che abbatte le teorie della scienza moderna da Galilei a Newton, riguarda anche un altro aspetto: l’Io, che fino a quel momento era considerato la sede di quei principi che permettono una comprensione del mondo, una scienza della natura. Ad anticipare questa visione fu il filosofo Kant, che disse prima di tutti che tempo e spazio non sono assoluti, ma forme a priori della propria sensibilità. Da qui la teoria della relatività di Einstein e la psicanalisi di Freud.

“Questo pilastro viene a frantumarsi – spiega il professore – e da quel momento in poi l’Io va riconosciuto esattamente come la cosa che indago, analizzo e sciolgo in tutte le sue componenti, in un’analisi interminabile. Così nell’Io scopro molti Io, molte persone, molte maschere. Tra queste componenti si può stabilire una armonia ma anche dissonanza e lotte che portano alla follia. E dove sta il confine tra ragione e follia, tra la veglia e il sogno?” dice Cacciari agli spettatori presenti, quasi ipnotizzati. “Noi pensiamo di poter difendere quest’Io, ma in realtà questi problemi vanno affrontati secondo diverse prospettive. Una visione completa dell’Io non l’avrai mai. I veri scienziati lo sanno, perché sono andati tutti a scuola della “docta ignorantia”, poi ci sono gli scientisti, quelli che fanno della scienza una sorta di religione e credono ancora che la scienza giunga a chissà quale solidissimo e invalicabile fondamento, a un muro incrollabile”. Il riferimento è evidentemente agli interventi di immunologhi e virologi durante la pandemia da Covid, che il pubblico coglie al volo. “Ne sappiamo qualcosa del recente passato dove abbiamo visto una serie di scienziati assumere il ruolo di sacerdoti”, conclude Cacciari.

Ma la crisi di cui parla Musil è anche politica. “L’Impero asburgico era l’insieme che si pretendeva armonico, esente da pericoli, non disgregabile. Che si pretendeva cosa, l’Io. Ma era costituito da tante nazioni di lingua e culture diverse. E Francesco Giuseppe, il pater potens, le racchiudeva nel suo grembo. Questa pace che si voleva celebrare però si svela subito per quello che è: mancanza di critica e una grande retorica dell’unità, che fingeva di non capire e di non vedere che questa complessità poteva certamente essere mantenuta, ma bisognava riconoscerla. Ne sappiamo qualcosa?” indaga ancora Cacciari. “Così si arriva alla Grande Guerra, da cui l’Europa esce sconfitta. L’Europa che va naufragando, e malgrado la guerra, continua a non capire. Tutti gli errori si ripetono tragicamente”, aggiunge.

È un po’ quel che sta accadendo oggi, eppure perseveriamo nel voler salvare a tutti i costi quello che è stato. Perché abbiamo questa ossessione?

Be io spero che lei non lo voglia salvare. Io no di certo. I giovani dell’epoca di Musil avevano questa ideologia utopistica che però non poteva concretizzarsi. Ma avevano ragione nel vedere che il padre faceva schifo. Che non si poteva neanche più mangiare insieme al padre, che non si poteva più essere volgare e menare la moglie. Avevano ragione in questo senso, ma il modo in cui avevano ragione era sbagliato. Un po’ come spiegava Max Weber, che diceva ai suoi studenti badate che col vostro attivismo non fate altro che preparare il terreno alla peggiore delle reazioni. E li invitava a studiare, ad analizzare la cosa, alla luce delle ricerche scientifiche a loro contemporanee, non della scienza di ieri. Per farlo credo sia necessario trovare un linguaggio capace di dire con chiarezza il mondo del sentimento, l’unità del mio sentire. Questa è la grande sfida.

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