Ennesimo rinvio dell’apertura del nuovo ospedale di San Gavino Monreale. Secondo le ultime valutazioni, la struttura non sarà operativa prima del 2027. Lo studio di fattibilità della struttura risale alla seconda metà degli anni 2000, mentre i lavori sono partiti nell’agosto 2022 tra rallentamenti, ripartenze e un cantiere che procede a scatti. Ma per l’associazione Sardegna chiama Sardegna il vero problema sta altrove.
“La Sardegna non ha una programmazione sanitaria stabile, coerente e orientata ai bisogni reali dei territori. È questo il punto” denunciano in una nota. “Non il singolo ritardo, ma un sistema che procede senza una direzione chiara. L’ultimo vero Piano sanitario regionale risale al 2007, e da allora abbiamo assistito a riforme, controriforme, accentramenti e commissariamenti che non hanno risolto nessun problema strutturale”.
A complicare il quadro è la crescita del privato, particolarmente nei grandi centri, dove sono nati poliambulatori e sale chirurgiche moderne mentre il “pubblico fatica a garantire i servizi minimi” osserva l’associazione. “Così il diritto alla salute rischia di diventare un privilegio per chi può pagare”.
Il rappresentante Lorenzo Argiolas rincara la dose: “Il Medio Campidano aspetta un nuovo ospedale da quasi vent’anni. Nel frattempo, la medicina territoriale si è indebolita: guardie mediche chiuse, carenza di medici di base, servizi essenziali ridotti. Interi territori vivono in un regime di emergenza permanente. La sanità di prossimità è stata lasciata andare, e il risultato è sotto gli occhi di tutti”.
Un attacco alla gestione sanitaria dell’Isola proprio nel giorno in cui la governatrice Alessandra Todde ha siglato ufficialmente l’addio alla Giunta dell’assessore Armando Bartolazzi, prendendo lei stessa le deleghe dell’ormai ex collega. Una separazione avvenuta in maniera brusca, ma che da tempo era nell’aria.
E ora la preoccupazione dell’associazione Sardegna chiama Sardegna è ancora più alta. Le richieste sono chiare: “Un medico di base per tutti; più personale e strutture territoriali realmente operative; il diritto a non aspettare, con tutele uniformi per tutta l’isola; il diritto della Sardegna a decidere sulla propria sanità”.
E conclude: “Sono gli assi attorno ai quali costruire una battaglia pubblica che coinvolga cittadini, operatori e territori. Perché la sanità non può essere lasciata al caso, né a un equilibrio sempre più precario tra pubblico e privato”.
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