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L'archeologia sarda alla conquista del mondo

Mont’e Prama continua a far parlare di sé tra vecchie tensioni e nuove proposte. Dopo l’ultima scoperta di due nuove statue nel sito archeologico, avvenuta il maggio scorso, sono tornate in superficie anche questioni ancora irrisolte. Come l’acceso dibattito sull’accuratezza del georadar nelle analisi dell’area, gli scambi di visione del Comune di Cabras e la Soprintendenza di Archeologia, belle arti e paesaggio di Cagliari sulla gestione del bene archeologico o ancora il vigneto piantato sopra il sito che blocca i lavori di ricerca.

Ma il direttore della Fondazione Mont’e Prama, Anthony Muroni, va dritto per la sua strada e presenta senza troppe preoccupazioni il progetto che il suo team vuole portare avanti: “L’obiettivo è valorizzare la vasta area che comprende il Parco archeologico naturale del Sinis – da Mont’e Prama a Tharros, da San Giovanni a San Salvatore, presto anche Cuccuru Is Arrius e sa Osa -, promuoverla a fini turistici, ma anche proseguire nella ricerca scientifica e nella conservazione del sito. Non sono molto interessato alle polemiche su quel è accaduto negli ultimi dieci anni ma molto più proiettato sul futuro prossimo”.

Un progetto ambizioso, che fino a poco tempo fa ha visto su posizioni a volte diverse il Comune di Cabras, oggi motore attivo e costruttivo per la Fondazione, e la Soprintendenza di Cagliari che dal 2014 detiene il controllo degli scavi, che fanno capo all’archeologo Alessandro Usai, lo stesso che ha portato alla luce le due nuove statue. L’obiettivo delle due istituzioni è lo stesso: preservare un patrimonio storico-culturale di inestimabile valore.

“Il nostro lavoro – afferma Muroni – verrà portato avanti seguendo tre principi cardine: lealtà, responsabilità e buona volontà. La Fondazione Mont’e Prama confermerà il ruolo che le è stato assegnato: la mediazione fra Ministero, Regione e Comune di Cabras, a supporto del sistema Sinis. Non sposiamo nessuna delle due parti, lavoriamo con entrambe. È il primato della politica a dover emergere, nella sua funzione più nobile: quella della mediazione verso l’alto. Siamo consapevoli dei limiti imposti dalle leggi, e in questo contesto eserciteremo il ruolo che ci è assegnato dal nostro Statuto, con feroce pazienza”.

E di pazienza, in effetti, ce ne vorrà tanta. Così come tante sono le personalità che vorrebbero avere voce in capitolo. È ancora fresca, sebbene siano passati ormai otto anni, la vicenda relativa alla proposta del professor Gaetano Ranieri di utilizzare lo strumento del georadar per trovare le aree più idonee su cui condurre gli scavi. Nel 2014, lo stesso parlò di “Pompei sarda”, una vera e propria città da 16 ettari contro i 750 metri riconosciuti ufficialmente dalla Soprintendenza di Cagliari. Quest’ultima, nonostante non fosse affatto convinta dell’analisi, gli concesse di condurre dei saggi di scavo, che permisero di individuare un nuovo tratto della strada funeraria e accanto a questo otto tombe coperte con lastre quadrate e, ancora, altre otto tombe disposte su tre filari irregolari, a pozzetto semplice. Il ritrovamento, d’altra parte, non confermò in termini assoluti l’ipotesi del professor Ranieri, così la Soprintendenza decise di chiudere tutto al pubblico e proseguire in autonomia nella ricerca.

“Degli scavi si deve parlare senza condizionamenti – aggiunge Muroni -, cercando di comprendere le ragioni di tutti, in un’ottica di sostenibilità. D’altronde quando si avvia una campagna di scavo servono depositi, centri di primo restauro e catalogazione, centri di grande restauro, musei pronti ad accogliere i reperti. Non si può pensare di improvvisare, son cose che vanno programmate per poter essere realizzate. In ogni caso, la Fondazione ha i fondi per realizzare sia un grande deposito che i laboratori che dovranno lavorare al suo servizio. Li stiamo progettando, ma naturalmente ci vorranno un paio di anni per vederli realizzati. Abbiamo poi i fondi per partecipare al restauro dei Giganti, per la tutela e la conservazione ma anche per valorizzarli e promuoverli. In quest’ottica, infatti, vorremmo proporre un restauro a fini didattici, da svolgersi – sotto gli occhi del pubblico interessato, come avviene in tutto il mondo – presso il museo di Cabras”.

Ci sarebbe poi un ultimo scoglio da superare: quello del vigneto, messo su dal proprietario del terreno che si trovava proprio a fianco dell’area di Mont’e Prama. Un modo per non farselo sottrarre dal Ministero dei Beni Culturali. Anche in quel caso, i lavori della Soprintendenza furono costretti a fermarsi. “La vigna? Andrà immediatamente espiantata e quel terreno verrà messo al servizio della ricerca – risponde Muroni -. I costi dell’ esproprio schizzati verso l’alto? Sono diventato presidente nel 2021, dunque alcuni anni dopo la concessione, che da giornalista criticai anch’io. Su questa vicenda ci sono state comunque indagini e tutto è risultato regolare. È una questione del passato, oramai pensiamo al futuro, imparando da eventuali errori”.

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