La Procura di Sassari avvia un procedimento penale nei confronti di cinque persone tra medici, tecnici e manager operanti nella Rsa San Nicola per un caso di “mala gestione” di una paziente affetta da Covid-19. Di più, il pm Paolo Piras ha chiesto il rinvio a giudizio, con udienza preliminare fissata al 26 ottobre prossimo. L’accusa principale è di omicidio colposo.

Tutto è iniziato tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo del 2020, quando Margherita Ceseracciu, 68 anni, affetta da sclerosi multipla, in cura da due anni nella stessa Rsa, inizia ad avere dei sintomi riconducibili al coronavirus. Il 4 marzo, però, la casa di riposo chiude le porte ai parenti degli ospiti, in applicazione del Dpcm emanato e reso effettivo lo stesso giorno. Da allora i contatti tra la signora Ceserecciu e la figlia Stefania Rubelli si riducono a una breve telefonata quotidiana, e le video-chiamate sono possibili solo con l’ausilio del personale. È proprio durante una di queste chiamate che l’operatore sanitario che aiuta la madre sia sprovvisto di mascherina.

Il 19 marzo la figlia della paziente viene informata dal personale amministrativo della struttura, che all’interno sono stati effettuati quattro tamponi, tre dei quali risultati positivi: degenti che, non potendo essere trasferiti, sarebbero rimasti in isolamento nella stessa San Nicola. Sono le prime avvisaglie di quello che diventerà uno dei più gravi focolai della Sardegna, con giornate drammatiche come quella del 28 marzo, quando si contano cinque morti in 24 ore, o del primo aprile, nella quale è l’assessore Regionale alla Sanità, Mario Nieddu, in persona a comunicare il primo bilancio-shock dei tamponi, a cui sarebbero poi stati sottoposti tutti i 120 ospiti: 44 positivi sui 55 test effettuati. Quasi tutti.

Stefania Rubelli nel frattempo si mobilita, attraverso i media, per sollecitare le autorità competenti all’adozione di “necessarie misure di tutela di operatori e pazienti, senza le quali il virus diventerà presto sinonimo di sterminio”. Il suo accorato appello pubblico agli Enti preposti e al Prefetto di Sassari per estendere l’obbligo della copertura del tampone a tutto il personale sanitario regionale, anche a quello asintomatico, rafforzare i laboratori per le analisi e dotare il personale dei dispositivi di protezione individuale necessari, qualche risultato lo produce. Ma non basterà a salvare la madre della donna.

Dal 19 marzo non arrivano altri aggiornamenti ufficiali dalla struttura, se si eccettuano le rare comunicazioni (a titolo privato) da parte del personale, ma si apprende che la San Nicola ha modificato la distribuzione di spazi e ospiti, creando tre diverse zone: una rossa per i pazienti già risultati positivi al Covid, una intermedia per pazienti che già presentano alcuni sintomi, e un’altra “pulita” che ospita i soli pazienti asintomatici. E, soprattutto, intervengono anche le Autorità, in particolare quelle mediche militari, rifornendo di Dpi la struttura e iniziando la somministrazione a tappeto dei tamponi, tra cui quello che il 29 marzo viene effettuato alla signora Ceseracciu, che risulterà puntualmente positiva. La paziente in poche ore palesa un peggioramento delle sue condizioni e nella stessa giornata è trasportata d’urgenza in ambulanza al Pronto Soccorso del SS. Annunziata, e poi trasferita nella sezione Covid del reparto Pneumologia delle Cliniche San Pietro di Sassari. Sembra possa farcela, è stabile, tanto che si decide di trasferirla, il 6 aprile, al Policlinico di Sassari. Ma qui la 68enne accusa un nuovo e ulteriore peggioramento, tanto che lo stesso giorno viene ricoverata nel reparto di Terapia intensiva dello stesso nosocomio, dove spira la sera del 19 aprile.

La figlia della vittima, per fare piena luce sui fatti e ottenere giustizia ha presentato una denuncia querela alla stazione dei carabinieri di Sassari, chiedendo all’autorità giudiziaria di effettuare tutti gli accertamenti del caso per verificare i profili di responsabilità in capo ai medici, agli operatori, al direttore sanitario e alla società di gestione della Rsa. Il pm Piras ha aperto un procedimento penale per l’ipotesi di reato di omicidio colposo, violazione delle norme di sicurezza negli ambienti di lavoro, epidemia, iscrivendo nel registro degli indagati la direttrice sanitaria della Rsa, due medici, il responsabile del Servizio di prevenzione e protezione, e il presidente della Saccardo, la cooperativa sociale che gestisce questa e altre strutture del gruppo. E ora dopo tante richieste di conoscere lo stato dell’arte dell’inchiesta, la Procura ha risposto che è stato chiesto il rinvio a giudizio con prossima udienza il 26 ottobre in Tribunale a Sassari, nella quale la figlia della vittima si costituirà parte civile.

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